Anabel Hernández, la giornalista che racconta la guerra dei narcos

Minuta, sorridente, grandi occhi neri, una simpatia trascinante. Proprio non lo si immaginerebbe che Anabel Hernández è il nemico pubblico numero uno in Messico. E perché mai? Semplicemente perché fa bene il suo lavoro di giornalista d'inchiesta. Con passione e intelligenza. Ha costruito un'invidiabile carriera smascherando i rapporti tra i cartelli della droga e le istituzioni politiche del suo Paese. Ed è per questo che lei e la sua famiglia non possono che vivere sotto scorta armata. Ora è in Italia per presentare il libro La terra dei Narcos (Mondadori, pagg. 464, euro 19). Quello che ti racconta sul suo Paese è raccapricciante. Solo all'estero si sente sicura. «Quando sono a casa - racconta - ho paura di tutto. Se vedo arrivare persone in uniforme ne ho ancora di più». Il libro riassume praticamente anni di lavoro sul campo. Smaschera i rapporti tra narcos e politica. E punta l'indice contro una corruzione endemica, che si è fatta sistema.

«Purtroppo in Messico manca una figura capace di catalizzare l'indignazione - spiega -. D'altronde tutti i partiti sono uguali. Approfittano della povertà dell'elettorato per comprarne il consenso». Insomma anche il radicale cambiamento conseguente l'ascesa del Partito di azione nazionale dopo cinquant'anni di monopolio del Partito rivoluzionario istituzionale non sembra aver cambiato le cose. Leggendo il suo libro la domanda nasce spontanea: ma allora nel suo Paese la libertà e la democrazia non esistono? «No, non esistono. È governata dai ricchi che comprano tutto, soprattutto il consenso popolare».

Nel corso del suo lavoro ha spesso incontrato avvocati di narcotrafficanti e, soprattutto, esponenti di spicco dei cartelli della droga. E a loro ha sempre riproposto la stessa domanda: perché tutta questa violenza? «La violenza - mi hanno risposto - non ci interessa. È solo un mezzo come un altro. A noi interessano i soldi». E il narcotraffico rende bene. Non ci sono, spiega la Hernández, stime ufficiali ma sicuramente il fatturato della produzione e dalla distribuzione della droga supera quello ottenuto dall'estrazione del petrolio. «D'altronde - aggiunge - il mio Paese è tra i primi produttori di eroina, metanfetamine e marjuana».

Eppure, nonostante tutti i rischi che corre, questa battagliera cronista va avanti per la sua strada. L'unico cedimento, l'unico momento di autentico sconforto - mi confessa - l'ha provato quando la figlia le ha detto che vorrebbe anche lei da grande fare la giornalista. «Speravo per lei una vita migliore della mia».

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