Gli anni del secondo dopoguerra, tutto un programma: in quel periodo a farla da padroni erano i compositori organici a un «certo modo di pensare», qualcuno con la tessera rossa, altri nei giri che contavano. L'avanguardia spadroneggiava, in prima fila Luigi Nono & Co. Musica seriale a manetta, l'alba dell'elettronica, rottura col passato e guai a suonare melodico, dissentire era un'eresia. Ovviamente c'erano gli outsider, per certi versi ancora legati alla tradizione, ma in maniera innovativa e personale. Tra i colpevolmente moderati e (spesso) emarginati: Giancarlo Menotti, Nino Rota, Vieri Tosatti e Bruno Bettinelli; quest'ultimo, di credo liberale, leggeva Montanelli e ha trascorso buona parte della sua vita al Conservatorio Verdi a insegnare e chino sul tavolo da lavoro a scrivere, migliaia di composizioni; a conti fatti dal 1939 al 2004, l'anno della sua scomparsa. Eppure una certa dose di oblio non gli è mancato.
Ora, in questi tempi di ri-scoperte e per ricordare il centenario della sua nascita, Milano proprio al «maestro dei maestri» - così viene chiamato Bettinelli per aver formato personaggi come Muti, Abbado, Pollini, Corghi e Canino -, vuole dedicare una giornata di testimonianze e musica, attraverso un incontro organizzato dalla Civica scuola di musica di Milano diretta da Andrea Melis (sabato all'Auditorium Lattuada, di corso Porta Vigentina, ore 17): gli allievi suoneranno i brani del compositore; in prima fila anche la moglie Silvia Bianchera, insieme a uno dei suoi allievi di allora Paolo Coggiola, compositore docente a Villa Simonetta. «Come era lui? - fa eco Coggiola, oggi anche docente a Villa Simonetta - Amava scherzare con noi studenti, far battute: quando non gli piaceva un musicista diceva in milanese, "quel là l'è un cumpusitur del lella (da poco, ndr)".
Musicalmente parlando direi che è era l'Hindemith italiano». Traduzione: aveva una scrittura assai musicale e, rispetto al nuovo che avanzava, si divertiva a definirsi un «compositore liberamente dodecafonico». I suoi pilastri di riferimento comunque restavano Beethoven e Brahms.
«Amava Verdi - ricorda Coggiola -, spesso mi parlava dell'opera Don Carlos». Per farsi un'idea della sua musica si può puntare direttamente al cuore della produzione, il Concerto per violino e orchestra. «Con grandi capacità comunicative riusciva a coniugare una scrittura aggiornata e dissonante con la dodecafonia». Per altre scuole di pensiero questo compositore, pur essendo un grande artigiano, non avrebbe mai fatto il salto definitivo; proprio l'aspetto artigianale avrebbe prevalso sul resto, è l'accusa. Ma è difficile mettere la parola fine: la sua produzione è stata così sterminata - anche in ambito corale - che altre gemme si potrebbero dissotterrare dalla polvere delle partiture; Nota dolente.
Nel novembre 2004 pare che non tanti dei grandi che aveva svezzato
fossero al suo funerale: c'era il pianista Maurizio Pollini, che pur essendo in Italia il paladino di Stockhausen - dunque su altri sentieri rispetto al suo mentore - forse non hai mai dimenticato il «maestro dei maestri».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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