LA BIBLIOTECA STORICA DEL «GIORNALE»

La conquista di nuovi mercati avvenne usando sofisticate tecniche commerciali

Da che mondo è mondo, c’è sempre qualcuno che desidera nobilitare la propria storia. Il che significa, assai spesso, invecchiarne ad arte origini e avi, fondatori e ideatori. C’è forse in questa tendenza un insanabile conflitto tra il nuovo e l’antico, tra il fascino dell’evo trascorso e di quello a venire. Ma il fatto è che il rischio del posticcio se ne sta lì dietro l’angolo, come in uno dei casi più celebri delle nostre glorie nazionali, Venezia.
Una lunga e pervicace tradizione - ma nel senso deteriore di sclerotico autoconvincimento - vorrebbe assegnare i natali della città lagunare a un’epoca da Tardo Impero, nei primi decenni del V secolo, con scorribande di goti e poi unni a devastare quel che restava dell’Impero romano d’Occidente e un nome apocalittico a rincorrersi di racconto in leggenda: Attila. Era probabilmente il tentativo di attribuire ai «venetici» una funzione di continuità, come se essi avessero salvato il ricordo - oltre che salvare se stessi - di un’epoca ormai al tramonto, ripiegata provvisoriamente sulle isole di Rivo Alto o Rialto ma destinata a riprendersi presto o tardi il proprio ruolo nella storia.
Venezia nacque invece assai più tardi, all’inizio del IX secolo, peraltro fuggendo realmente una minaccia militare e politica, quella portata avanti dai franchi di Carlo Magno ormai padroni incontrastati di ampi tratti della penisola italica. E Venezia traghettò per davvero qualcosa di antico nel Medioevo, quel titolo di doze o doge - dal latino dux, «comandante» - che però era stato assegnato al suo primo cittadino dai romani di Costantinopoli, vale a dire i bizantini. Insomma Venezia fu grande perché innestata nel pieno di un’epoca nuova, non dimentica dell’antico ma neppure succube ad esso.
Qualcosa del genere si potrebbe dire per Amalfi, fondata essa sì alla giuntura tra Tardoantico e Medioevo ma tutta protesa verso il mare solo dall’836 d.C. Di antica fondazione romana sono invece Genova e Pisa, la prima forse etimologicamente ancorata alla sua funzione di «porta» - janua, in latino - spalancata sul vasto pelago che era il Mediterraneo, almeno per quei tempi. Ed è proprio l’intersezione di queste quattro città e dei loro destini di volta in volta romani, tardoantichi e medievali a determinare largo tratto della storia italiana ed europea. Perché ciò che ancora e sempre stupisce di queste civitates, anzi di queste repubbliche, è la loro capacità di adattamento, lo spirito d’intrapresa, la capacità di sfida agli incerti delle correnti e del vento, degli accordi e dei contratti, sino a costituire veri e propri imperi commerciali e politici che per secoli hanno fatto da riferimento da un capo all’altro del mondo conosciuto.
Pensiamo per esempio all’introduzione e allo sviluppo di tecniche commerciali che dovevano sbigottire i mercanti del centro e nord Europa. Come le agili e numerosissime associazioni temporanee, per un singolo viaggio, un affare o un periodo di tempo predeterminato, al termine dei quali si tiravano le somme e si dividevano i benefici sulla base del capitale iniziale investito e del lavoro profuso. Il nome più noto di questa tipologia di accordi è la commenda, che prevedeva i 3/4 ai capitalisti e 1/4 al «commesso» o comunque a chi compiva fisicamente il viaggio, foss’anche stato uno degli associati. Ma si potrebbe ricordare pure la colleganza, con quote variabili, anch’essa presa a modello dai commercianti anseatici per creare la Wederlegginge o da altri ancora per le societates maris, le «società del mare».
Non tutto fu però economia e sviluppo. Ci fu anche la guerra, spesso violentissima come nel caso della battaglia della Meloria (6 agosto 1284) quando Pisa dovette abbandonare le proprie ambizioni a vantaggio di Genova. Oppure come negli Stati crociati, a suon di privilegi, risse da porto e scontri nelle vie cittadine, incuranti della minaccia musulmana.

E Venezia doveva sentir crescere di anno in anno il peso e il pericolo dell’avanzata ottomana da Oriente, incapace alla lunga di opporvi una valida resistenza, come insegna il paradosso di Lepanto (1571). Il Rinascimento e l’Evo moderno portarono poi la sfida dell’Atlantico e dell’Oceano Indiano, di portoghesi, inglesi e olandesi, mentre ormai si tingeva di rosso un altro tramonto, il loro.

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