Caro Cacciari l'Apocalisse può attendere

La nostra epoca non aspetta la Fine e l'avvento della Verità. Per fortuna c'è ancora molto spazio per la civiltà liberale...

Caro Cacciari l'Apocalisse può attendere

La convivenza conflittuale tra la politica e la religione ha costituito la struttura portante - e vincente - dell'intero Occidente perché, diversamente da altre civiltà, esso ha reso impossibile che l'una prevalesse sull'altra. Si pensi al periodo medievale segnato dalla guerra delle investiture fra Papato e Impero; una guerra che si è risolta senza vinti né vincitori: l'Impero non è riuscito a creare un cesaropapismo, il Papato non ha realizzato la teocrazia universale. L'insolubile conflitto fra il potere spirituale e il potere temporale ha impedito ad entrambi di conferire un segno definitivo alla storia umana, la quale non può risolversi in un'esperienza solo religiosa o solo terrena. Dalla rivalità fra il potere religioso e il potere politico è nata una situazione oggettivamente favorevole alla nascita della cultura del conflitto, premessa fondamentale della creazione della civiltà liberale propria dell'età moderna.
Il neutro andare del mondo decreta che il procedere storico non ha una direzione precisa ed è privo di un significato esaustivo. Ciò che caratterizza la modernità è dunque il processo di secolarizzazione e il suo latente nichilismo a fronte dei quali sono sorte varie filosofie della storia tutte irrimediabilmente «religiose», essendo esse nient'altro che tentativi di conferire un senso forte al carattere ateistico-insignificante di questo stesso svolgimento.
Uno dei campioni più «sfacciati» del rigetto della modernità è stato senz'altro Carl Schmitt che si è opposto a questa deriva nichilista, lottando contro le tendenze spersonalizzanti dell'ordinamento giuridico liberale dello Stato di diritto. La sua teologia politica contempla il concetto di katéchon, inteso come quella forza alla ricerca di una precisa identità, sia essa storica, politica o religiosa come, ad esempio, l'Impero o la Chiesa, capace di agire in direzione opposta alla logica del caos e della disgregazione.

Nel suo ultimo libro Massimo Cacciari, Il potere che frena. Saggio di teologia politica (Adelphi, pagg. 211, euro 13,00) diversamente dal pensatore tedesco, non ritiene che sia possibile assegnare un'identità univoca al katéchon perché questo pervade sia la sfera del bene, sia la sfera del male. Problematizza dunque il concetto riprendendo alcuni enigmatici versetti - 2, 6 e 7 - della Seconda lettera ai Tessalonicesi (attribuita a san Paolo) e sostiene pertanto che il katéchon è di difficile decifrazione, essendo, per l'appunto, una potenza ambivalente. In questo caso il katéchon svolge allo stesso tempo una funzione benefica e malefica perché impedisce l'affermarsi del male, ma per fare questo è costretto a ritardare la vittoria definitiva del bene. Sarebbe questa la tragicità del moderno, ovvero quella lunga, interminabile fase di transizione entro cui si è impantanato lo spirito del mondo che non riesce a risolvere definitivamente la lotta fra Cristo e Anticristo. Cacciari, in questo dialogo di continuità-discontinuità con Schmitt, non sembra uscire dalle proposte interpretative di ogni teologia politica, la quale, alla fin fine, mostra sempre il bisogno di concepire una risoluzione ultima per le forze che agitano la storia del mondo, come, non a caso, si rivela nel volontarismo decisionista dello stesso Schmitt.

Anche se attraversata dal processo di secolarizzazione, la teologia politica svela infatti che i simboli escatologici non hanno perso la loro vocazione «assolutistica» e salvifica, dato che permane sempre in essa l'intento di conferire al potere politico una forza religiosa e al potere religioso una forza politica, onde dotarli di un fondamento superiore in grado di contenere l'avanzata del male. Ora questa prospettiva teologico-politica, svolta da Cacciari con grande respiro teoretico, enfatizza la modernità e dunque non è consona alla modernità. La modernità è insignificanza della storia, è continua nientificazione dell'essere perché non produce univoci valori, essendo priva di direzione. Se non che - ed è quello che non comprendono i teorici del catastrofismo - la secolarizzazione conduce in modo paradossale, ma del tutto logico, anche verso una vivificazione continua del pensiero e dello spirito, dato che all'ateizzazione non può far riscontro che una deificazione: la nientificazione del senso produce una continua ricerca del senso.

Diversamente da quanto ritiene il filosofo veneziano, la nostra non è un'epoca apocalittica, non siamo nell'attesa della Fine e dell'avvento della Verità. Siamo, come sempre, immersi nella lotta (irrisolvibile) fra opposte volontà di potenza, che solo la civiltà liberale, con la consapevolezza della finitudine e la prassi della mediazione, ha saputo finora trattenere nel loro impeto imperialistico. Quando non vi è riuscita è perché alcune versioni estremistiche del processo di secolarizzazione, abbandonando il difficile equilibrio tra la politica e la religione, hanno voluto liberare l'umanità dalla condanna biblica che assegna agli esseri umani il destino del limite, e dunque del male, conferendo agli uomini talenti che non sono «terreni», ma «divini».

Non si spiegherebbero altrimenti tutti i disastri prodotti dai vari totalitarismi - rossi e neri, non importa - dovuti, per l'appunto, alla irrisolvibile antinomia dell'impossibile contenimento dell'infinito nel finito.

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