«Fra il corpo e la mente stiamo tutti giocando una partita allucinante»

Allucinazioni, giochi di specchi, mondi paralleli, sogno. Una manna per la letteratura. Quando non sappiamo se quel che leggiamo è il racconto del reale o la visione illusoria che ne hanno coltivato i personaggi, si ridestano gli spiriti di Shakespeare, Calvino e Pinter. Ma anche i più contemporanei giochi escheriani alla Inception di Christopher Nolan. Accade durante la lettura di L'esperimento (Einaudi, pagg. 176, euro 18,50), il nuovo romanzo del triestino Mauro Covacich che, chiusi i quattro libri del «ciclo delle stelle» e dato alle stampe il saggio su L'arte contemporanea spiegata a tuo marito (Laterza), racconta ora la storia di Gioia, fertile vittima dell'ossessione del padre che la sua bambina, condannata dalla spina bifida alle stampelle, diventi campionessa di scacchi. Le ambizioni degli altri sono però sale amaro: a un passo dal successo, Gioia è aggredita dalle visioni. E divisa tra la passione ormai sfilacciata per il suo maestro Denis e quella per il giornalista Stefano venuto a intervistarla. Tra psicoanalisi, neurologia, chimica, entomologia, scacchi, per sapere se a vincere sarà il corpo o la mente bisognerà aspettare le ultimissime pagine.
Gli scacchi e il cervello: due «organismi» di straordinaria complessità. Perché ha deciso di farli interagire in un «doppio» gioco narrativo?
«Come può un processo cerebrale, ovvero pura materia, trasformarsi in un atto mentale, ovvero in un puro pensiero? Com'è possibile avere coscienza di sé senza che ci sia traccia fisica nel nostro cervello di ciò che chiamiamo “Io”? Da sempre mi appassionano queste domande. Gli scacchi sono una malattia più recente, li ho scoperti da qualche anno, e ti proiettano naturalmente in una dimensione immaginifica pur essendo la quintessenza della logica».
Come nasce l'idea di L'esperimento e da dove il titolo?
«Giocando in Rete mi succedeva di vedere scacchi dappertutto. Camminavo e mi sembrava che uno attraversasse la strada con la mossa del cavallo, guardavo in faccia un tizio e i suoi lineamenti disegnavano diagonali di alfieri, torri eccetera. Inoltre questo gioco acuiva una mia sensazione tra le più consolidate: quella di sentirmi agito nella vita vera né più né meno che come un pezzo su una scacchiera, come se il nostro mondo fosse quello di Matrix, dove tutti sono convinti di vivere la loro vita reale e invece sono proiezioni di un software. È questo il mondo in cui precipita Gioia nelle sue allucinazioni: un re e una regina in carne e ossa, che vivono in una città in tutto simile alle nostre, dove girano uomini in grisaglia freschi di licenziamento e vecchie col cappotto spazzolato che rovistano nelle immondizie. Il padre ha cresciuto Gioia a pane e scacchi da quand'era bambina per provare che il talento scacchistico non deriva dalla genetica ma dall'esercizio - ecco “l'esperimento” - e ora che è campionessa, questo è il risultato».
E nel conflitto mente-corpo chi vince?
«La mente è il sistema del corpo che pensa, lo dico dai tempi di A perdifiato».
Corre sempre?
«Dall'ultima corsa ho messo su dieci chili. Al momento, piuttosto che ricominciare a correre, è più facile che diventi campione del mondo di scacchi».
Il realismo è impossibile?
«Lo scopo era rendere carnali e concrete le allucinazioni al punto da non poter distinguere dove finisce la realtà e dove comincia l'immaginazione. La parola realismo in letteratura nasconde un'istanza sociale che mi disturba. A me interessa la vita, non la realtà».
E l'immaginazione?
«L'immaginazione è la facoltà intellettiva che mi funziona meglio. Ho poca memoria, vedo poco e penso poco. Ma mi riesce bene effettuare microvariazioni sul dato reale. In fondo scrivere è mentire, sempre».
Che cosa resta da fare oggi all'arte?
«L'arte contemporanea è una mia passione dai tempi dell'università. Il piccolo saggio di Laterza era un tributo, una tantum, a trenta opere, oggetti ad alta densità metaforica.

Quanto all'arte concettuale, dipende dall'artista: un conto è Paolini, un altro è Penone, le cui pietre commuoverebbero anche il mostro di Milwaukee».
E alla narrativa?
«Smettere di prostituirsi con storie finalizzate all'intrattenimento».

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