Christopher Hitchens lo disse chiaramente, con sintesi giornalistica, nel 2010: «Devo fare la chemioterapia all'esofago». Gabriel García Márquez l'ha detto in modo più sfumato, una dozzina d'anni fa: quando lottavo contro un linfoma, nella scrittura ero più concentrato. Ora Iain Banks lo dice nel modo più bizzarro e triste, con sulle labbra il sorriso pesante e consapevole che soltanto loro hanno: «Ho chiesto alla mia compagna se vuol concedermi l'onore di diventare mia vedova».
Loro sono i malati di cancro. Fra loro ci sono anche gli scrittori, ovviamente. Gente abituata a lavorare, giocare, creare, divertire, commuovere, terrorizzare con le parole. A volte anche a ingannare, con le parole. Ingannare il tempo, soprattutto, quando il tempo batte più forte di un cuore stanco, quando i giorni sfioriscono nella debolezza e nella rassegnazione. Iain Banks è uno scrittore dai toni «neri». Nero il suo libro più famoso, La fabbrica delle vespe, con al centro la figura di un giovanissimo serial killer. Nere le sue incursioni in un futuro sempre inquietante. Nere le atmosfere che dominano il suo «Ciclo della Cultura», che descrive un'immaginaria civiltà spaziale anarchica e utopica. Nato a pochi chilometri da Edimburgo 59 anni fa, Banks scrive sul proprio sito che gli resta poco da vivere. La malattia avanza, ma lui non indietreggia. Si mette in guardia e mette in guardia i suoi amici e lettori. E si rivolge alla sua donna con quelle parole inequivocabili, che se fossero soltanto letteratura sarebbero proprio un bell'esempio di humour britannico.
«Pare che The Quarry sarà il mio ultimo romanzo», dice.
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