Tiziano mostra il suo lavoro, uno scatto ispirato agli snapshot di Jeff Wall. Il look del ragazzo è pessimo - «conta anche quello, può influenzare critici e galleristi» - ma l'opera è buona: «Ricca di citazioni, dietro ci sono le nature morte olandesi»: la sala applaude. Carolina, colombiana, porta un autoritratto: «I sudamericani lavorano troppo coi loro corpi, sono così egocentrici...»: di fatto, una stroncatura. Gelo. Avanti un altro. S'inizia citando Martin Creed, che nel 2001 vinse il Turner Prize con l'installazione The lights going on and off, una stanza vuota dove la luce s'accende e si spegne a intermittenza, e si finisce con il consiglio più semplice da dare e difficile da seguire: che l'arte è una cosa facilissima da fare - basta un oggetto, un punto di vista, un'idea, come accendere e spegnere la luce - basta sapere quando farlo, e dove. Alla Tate Gallery di Londra, per esempio. O al Pac di Milano, dove l'altra sera si sono accese le luci per un anomalo happing d'arte contemporanea, una performance interattiva in cui il critico Francesco Bonami - testimone d'eccezione Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif - presentando in anteprima il suo Mamma voglio fare l'artista! (Electa), vademecum per muoversi con destrezza nel mondo altrimenti infrequentabile delle mostre e dei curatori, ha incontrato, nel chiasso, le contestazioni, i bhuuuu!, le risate e gli applausi, un centinaio di lettori e decine di aspiranti artisti. A loro il coraggio di mostrare le opere, a Bonami il diritto di criticarle.
Pac, Padiglione d'arte contemporanea, ore 19: è l'arena. Al centro la star, Francesco Bonami, già Senior Curator del Museum of Contemporary Art di Chicago, direttore nel 2003 della Biennale («Tutti pensano che Venezia sia Lourdes, con effetti miracolosi sulla carriera di chiunque... Invece è solo un'opportunità, che potrete sfruttare se siete dei bravi artisti, altrimenti sarà lei a sfruttare voi...»), curatore di arti-star e critico della Stampa («Gli artisti sono permalosissimi. Quando guardo un'opera dico raramente Che schifezza, però lo penso spesso»), e tutt'intorno, sulle sedie davanti alla cattedra, seduti sul parquet, appoggiati al basso muretto interno, sulle scale del soppalco, ci sono loro: gli studenti delle scuole di formazione, quelli dell'Accademica, fotografi che sono qua per lavoro, altri per trovarlo, madri, figlie, artisti che credono di essere già arrivati, altri che vorrebbero sapere da dove si parte, signore di mezza età che «guardi che io ho fatto Brera, ho esposto, lei così sta solo prendendo in giro chi ama l'arte... Io pensavo di venire qui a sentir parlare del contemporaneo, invece che serata è questa qua?!»...
È una serata strana, la gente partecipa con il proprio sogno, accende la sua luce, anche se forse se la ritroverà spenta. Da curatori, critici, galleristi. «Il mondo dell'arte non è fatto di giustizia e democrazia. Voi siete al riparo nel vostro studio. Ma fuori è una giungla, e sopravvive il più forte». Dove sembra di capire che «essere il più forte» è qualcosa di simile al ready made: se una cosa comune - talento, fantasia, fortuna, ambizione - diventa o meno un capolavoro, dipende dal contesto. «Dipende da tanti fattori se un artista sfonda o meno. Comunque per capire se lo si è o no, l'unico modo è provarci, l'importante è essere onesti con se stessi per ammettere quando è il caso di smettere, se non si è tagliati». E lo dice Francesco Bonami, oggi potentissimo critico d'arte, ieri pittore fallito: «Esposi persino a New York, era il 1985. Nella galleria accanto c'era una mostra di un tale che faceva conigli in acciaio inossidabile. I miei quadri si vendevano a 2500 dollari. Come le sue sculture. Oggi i miei quadri valgono zero, mentre il Rabbit di Jeff Koons è stato battuto a 90 milioni».
Certo, i soldi nel mondo dell'arte non sono tutto. «Ma contano...». Lezione d'autore per prepararsi al peggio, e ottenere il meglio, se si decide di darsi all'arte, la performance di Bonami non trascura l'ambizione («L'artista che si accontenta non ha futuro»), il rapporto col pubblico («Vogliamo riempire le mostre di arte contemporanea, e poi non sappiamo spiegargliela»), e la differenza fra avere un'idea, cioè inventare la lampadina, e immaginazione, cioè mettere alla lampadina baffi e cappello (e la seconda, in arte, serve molto di più). Giovanni, studente della «Fondazione Fotografia» di Modena: porta un dittico fotografico, la statua di una Madonna in preghiera accanto a una saponetta. «Non so perché, ma è un lavoro che mi piace. Spiegamelo tu...».
«La Madonna ha le mani giunte: chi può dire se sta pregando per noi o se se ne lava le mani?». Ecco. Per realizzare, e capire, un'opera così, non serve avere un'idea. Ma immaginazione. Si chiama arte, contemporanea. Lode del critico. Applausi del pubblico. Buffet. Tra poco si spegne la luce.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.