Cultura e Spettacoli

Il lupo che aiutò Montanelli a sconfiggere la depressione

Si chiamava Gomulka, Indro raccontava di averlo avuto in dono in Polonia. Ma fu comprato a Roma ed era "parente" di De Gasperi

Via di Ripetta, a Roma, è il percorso preferibile, sicuramente il più logico, per chi non essendo troppo pratico della città da piazza Navona intende raggiungere piazza del Popolo senza perdersi nel labirinto rinascimentale del centro storico.

Immaginiamo perciò che Colette Rosselli, in una mattina del 1954, la stia percorrendo per andare a un appuntamento al Caffè Rosati, a passo svelto, tutta presa dai pensieri che in quel periodo di grandi cambiamenti riempiono le sue giornate.

Sta pensando, forse con qualche preoccupazione, a Indro, il giornalista del Corriere della Sera con il quale da un paio di anni ha una relazione amorosa e che è stato inviato qualche giorno prima dal suo giornale in Polonia a seguire l'ennesimo scontro tra comunisti nazionalisti e comunisti filosovietici.

Ma poi un altro pensiero, più leggero, la riporta alle piacevolezze romane e le suggerisce un sorriso compiaciuto: i lavori di ristrutturazione dell'appartamento che condivide con Indro a piazza Navona sono ormai quasi finiti e la terrazza del loro attico si è trasformata in ciò che lei sognava, un giardino pensile da cui sporgendosi quasi si tocca l'obelisco della Fontana dei Fiumi.

Tornata a casa, dovrà infine occuparsi di Grazia: che cosa scrivere questa settimana per le lettrici del periodico femminile mondadoriano in cui da un anno tiene una rubrica di consigli, cuore e bon ton, firmandosi Donna Letizia?

Colette sta pensando un po' a tutte queste cose mentre procede in via di Ripetta, quando la sua attenzione è catturata da una vetrina in cui è esposto un meraviglioso cucciolo di pastore tedesco con due orecchie come non ne ha mai viste prima, «due perfette piramidi con un paio di candidi pompon affacciati davanti».

Entra nel negozio e in pochi minuti il lupacchiotto è tra le sue braccia, comprato, senza neppure essersi informata sulle sue origini e sul sesso. Che si tratta di una femmina lo scopre poco dopo: come la prenderà Indro, che invece preferisce i maschi?

«Nell'incertezza - racconterà Colette - ricorsi a un sotterfugio. La battezzai Gomulka come il leader polacco che spesso ricorreva nei suoi reportage da Varsavia. Un nome che suonava bisex, il che poteva essermi di aiuto a guadagnar tempo». Così andarono le cose, secondo Colette Rosselli.

Ma il suo fidanzato, cioè il gia famoso Montanelli, la raccontava in modo diverso. Per gioco, per gusto del paradosso, per creare un'altra, ennesima leggenda sul suo conto, si era inventato che un giorno, mentre si trovava a Varsavia, aveva ricevuto la visita di un colonnello caduto in disgrazia, il quale lo aveva implorato di trovare una sistemazione ai cinque cuccioli partoriti dalla sua amatissima lupa ingravidata da un vero lupo sceso dalla montagna.

Commosso, si era perciò dato da fare e in albergo aveva trovato tre colleghi giornalisti disposti ad adottarne uno a testa. Con lui, si arrivava a quattro. E quando furono in casa del colonnello, trovarono il quinto. Ma che sorpresa: si trattava nientemeno che di Wladyslaw Gomulka in persona, il presidente.

Montanelli raccontava a questo punto che si era creata un'atmosfera così amichevole che lui e gli altri giornalisti si erano impegnati a dare ai cuccioli il nome Gomulka e che Gomulka, a sua volta, si era impegnato a chiamare il suo lupetto con il nome di loro quattro. «Sicchè - terminava Montanelli con orgoglio - esiste in Polonia, oggi come oggi, un Indro, sia pure con la coda e quattro zampe».

A dispetto delle sue controverse origini, Gomulka si inseri perfettamente nella sua nuova famiglia. Quando Colette e Indro venivano invitati a un ricevimento, aspettava paziente in anticamera, accanto al guardaroba, accontentandosi di annusare un guanto della sua padrona. In montagna non temeva la seggiovia e al mare accettava senza proteste di affrontare il largo in equilibrio sul pattino. A piazza Navona imparò persino a scendere da sola le scale per andare a fare i suoi bisogni e poi passare all'edicola, farsi dare il giornale e portarlo a casa ben piegato in bocca.

I modi di Gomulka erano tali che la si sarebbe detta una scrupolosa lettrice di Donna Letizia e della sua rubrica di Saper vivere. Il fatto è che, come aveva scoperto Montanelli nei primi giorni parlando con il proprietario del negozio dove era stata comprata, Gomulka non era un cane qualunque, di generiche ascendenze nordiche come stava scritto nel pedigree.

Gomulka era nata in un ambiente di prim'ordine, essendo addirittura la figlia del cane lupo del leader democristiano Alcide De Gasperi, il primo presidente del Consiglio dell'Italia repubblicana, morto proprio nell'estate del 1954, e della lupa di un suo poliziotto privato.

È probabile che Montanelli, profondo conoscitore della Storia, da allora abbia cominciato a guardare con occhi diversi Gomulka. Stima ricambiata perché anche Gomulka nutriva nei suoi confronti sentimenti di profondo rispetto: «Di Indro» ha ricordato Colette Rosselli «subiva il fascino della voce maschia, della carezza ruvida, degli ordini precisi», vedeva in lui «un nume misterioso, anche, che periodicamente spariva, talvolta per settimane, e poi, come nulla fosse, riappariva».

Erano le improvvise partenze per conto del Corriere della Sera. Ma col tempo ci si abituò. La mattina di agosto,– era il 1966, in cui Gomulka rifiutò di fare la solita passeggiata con il suo padrone sul Lungotevere e, ansimando, impiegò dieci minuti a fare le scale di casa, fu chiaro che non le rimaneva più molto tempo. E infatti morì pochi giorni dopo a Cortina, dove era stata portata nella speranza che lontano dall'afa romana anche la sua voglia di vivere avrebbe potuto trarne giovamento. Se ne andò «ululando, come un lupo selvatico».

Nessun cane ha mai più rimpiazzato Gomulka a piazza Navona, dove la sua cuccia, il collare e il guinzaglio non sono mai stati mossi dal posto in cui erano stati per dodici anni. I due tentativi di trovarle un successore fallirono rapidamente, il primo soprattutto, durato pochi minuti e propiziato da Dino Buzzati, il quale una mattina si presentò accompagnato da un cane lupo di un anno che appena uscito in strada si liberò del guinzaglio per lanciarsi all'assalto di un pechinese tra le proteste della padrona infuriata.

La notte del 4 agosto 1969, esattamente tre anni dopo la morte di Gomulka, Montanelli era in vacanza a Cortina nella sua casa con la grande vetrata sulle Tofane, in preda a una dolorosa inquietudine che nemmeno la calda intimità della sua cameretta scavata nel legno e l'odore degli abeti e dei ghiacciai riuscivano a placare. Udiva i rintocchi dell'orologio della piazza e risentiva le ore di tre anni prima, «disperate e vuote».

Scrisse nel diario: «Mi tappo gli orecchi con la cera per non udirli. Sono una delle poche cose che riescono a ricrearmi quegli stati d'animo d'angoscia, altrimenti irripetibili, quando la crisi è passata». E subito dopo: «Sotto la finestra, la tomba del mio cane Gomulka. Morì quando io non volevo più vivere.

E ora provo un senso vago di colpa, come se l'avessi ingannato».

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