Nel 2009 uscì il docu-film Videocracy, ritrasmesso in questi giorni da La7. Il sottotitolo «Basta apparire» sintetizzava con efficacia l'idea, così diffusa da essere forse maggioritaria, di una nazione, l'Italia, in cui la televisione occupa il centro dell'interesse collettivo, conquistando il cuore e la mente dei cittadini. Il film purtroppo vira subito sulla politica: secondo il regista Erik Gandini, le tv commerciali hanno prodotto una mutazione antropologica per cui arrivare sul piccolo schermo è l'unica possibilità di riscattare una vita insignificante. Ossessionati dai modelli imposti dai varietà e disposti a tutto pur di mostrarci in mutande in un reality show, obbediamo docilmente alla pubblicità. Corriamo a comprare oggetti inutili ma anche a votare il partito giusto, quello che rispecchia il mondo dorato della televisione.
Passare dalla visione di Videocracy alla lettura de L'incarico di Friedrich Dürrenmatt, come mi è capitato per caso, fa capire come la premessa di quella pellicola fosse interessante ma insoddisfacente, a prescindere da ogni considerazione politica. Lo scrittore svizzero, in poco più di 100 pagine edite nel 1986 e ora ripescate da Adelphi, scodella un illuminante trattatello in forma di giallo sull'importanza crescente dell'immagine nella nostra società. In questa epoca, si legge nell'Incarico, la gente passa una parte importante del proprio tempo a filmarsi e fotografarsi reciprocamente. Questo bisogno spasmodico di riprendere ed essere ripresi è alla base di uno sviluppo tecnologico destinato a diventare esponenziale. Profetico: oggi un semplice cellulare consente di riprendere, riprendersi, postare il video su Youtube e commentarlo con gli altri utenti.
Dunque non «basta apparire», tutto sommato una semplice manifestazione di narcisismo. Qui siamo di fronte a qualcosa di più profondo. Da quando la scienza e la filosofia hanno «relativizzato» l'importanza dell'uomo, all'uomo piace osservare ed essere osservato. Scrive Dürrenmatt: «Gli esseri umani soffrono del non-essere-osservati, non essendo osservati si sentono inutili, per questo tutti si osservano a vicenda, si fotografano e si filmano l'un l'altro, per l'angoscia di fronte al non-senso della propria esistenza al cospetto di un universo che si disperde in ogni direzione con i suoi miliardi di vie lattee come la nostra». In un cosmo «tanto immane» è impensabile l'idea di un Dio «inteso come reggitore del mondo e come padre che osservi ognuno». Chi altri allora potrebbe ancora osservare l'uomo per dargli un senso se non «questi osservando se stesso»? Una riflessione che potrebbe addirittura spiegare perché oggi la televisione cede il passo ad altri media (riassumibili nel web) che consentono appunto di essere osservati mentre si osserva. Quanto alla privacy, si sarà capito, è solo una condanna che tutti invocano ma nessuno può desiderare sul serio.
Queste sono le basi «ideologiche» di un giallo davvero sorprendente. Tina von Lambert, la moglie di uno psichiatra, è stata uccisa in Marocco. Il marito, per investigare sul caso, assolda una troupe guidata da una giornalista che insegue un progetto vago, «realizzare un ritratto globale, quello del nostro pianeta» da ottenersi «attraverso un collage di scene casuali». Lo psichiatra vuole un documento filmato da mostrare nei convegni, per rendere pubblica la propria colpevolezza morale derivante dall'aver trattato con freddezza la consorte. In Africa accadrà di tutto, tra sosia, scambi di persona, servizi segreti, fucilazioni, tentativi di golpe.
Inutile riassumere qui le sorprese che lasciano di stucco capitolo dopo capitolo, grazie anche a uno stile tanto insolito quanto travolgente (ogni capitolo è composto da una sola frase, di lunghezza variabile tra le poche righe e tre-quattro pagine: virtuosismo non fine a se stesso, le parole scorrono senza sosta sulla pagina come le immagini scorrono senza sosta sullo schermo). Importa piuttosto notare che l'intero intreccio si basa sull'ossessione dell'osservare e dell'essere osservati, del sorvegliare e dell'essere sorvegliati. Tutti controllano tutti, in questa Africa sospesa a metà fra satelliti spia e riti ancestrali. Il personaggio simbolo, in questo caos, è Polifemo, un cineoperatore con un solo vero occhio: la propria telecamera, sempre in funzione. Diventeremo tutti come lui?
Il libro, quando uscì, fu accolto da recensioni positive.
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