"La radio di Marconi ha messo in onda l'anarchia del web"

Lo scrittore inglese racconta in "C", romanzo ambientato fra Otto e Novecento, la rivoluzione nelle comunicazioni. Sempre frutto dei singoli

"La radio di Marconi ha messo in onda l'anarchia del web"

Il momento esatto magari non lo conosce nessuno. È successo comunque in fretta, sempre di più. Le parole venivano fuori ovunque, coprendo tutti gli spazi, mangiando il vuoto, il silenzio, stringendo il mondo in una gabbia di lettere e suoni, fonemi, bla bla bla, ticchettii, spam, cartelloni pubblicitari come unico orizzonte da vedere dall'alto di un biplano, onde, messaggi, pensieri incarnati in un corpo denso e virtuale. Quando è successo?
La risposta è in un romanzo appena pubblicato da Bompiani. Il titolo è semplicemente C. L'autore è Tom McCarthy e sarà oggi al Circolo dei lettori di Torino con Gianluigi Ricuperati. Tom è inglese. Ha quasi 45 anni. Da giovane ha lavorato nei bar di Berlino e Amsterdam, per poi trovare fama come intellettuale, come artista. C è un viaggio alle origini della modernità, quella che è riuscita a scavallare il '900 e ad arrivare fino a noi. McCarthy riavvolge il filo e si muove a ritroso come un archeologo. Però il suo racconto è in presa diretta. È l'archeologo che si muove tra i rifiuti e i frammenti del passato quando ancora sta cercando. Non c'è catalogazione. Non c'è la mappa. È ricerca. La nascita della radio, frammenti di jazz, piste di coca, gocce di eroina, ragazze che cercano il successo in questo nuovo palcoscenico che sta diventando il mondo, senza preoccuparsi del prezzo da pagare. E in questa modernità che si apre c'è un tanfo di corpi putrefatti, di morte, come se una forza creatrice e distruttiva lasciasse marcire i suoi detriti.
Questo è C. Il filo rosso è la vita e lo sguardo di Serge Carrefax, soldato, marconista, prigioniero, archeologo, nato nel silenzio e figlio di un uomo che sperimenta la comunicazione senza fili in concorrenza con Marconi. Un romanzo chiuso tra due date: «Il 1898 è l'anno in cui Marconi sviluppa in Inghilterra i suoi esperimenti sulla radio, il 1922 è l'anno di nascita della Bbc. Ventiquattro anni di anarchia creativa, sperimentazione sui nuovi media. È in questo tempo che il mondo comincia a generare parole e tutto diventa più leggero, veloce, scarno. Sono gli anni in cui le masse entrano nella storia, ma gli individui ne cambiano il corso. Il 1922 è anche l'anno in cui viene scoperta la tomba di Tutankhamon, quando in un certo senso l'antico e il moderno si sono incontrati».

Radio e morte. Tecnologia e archeologia. Relazioni?
«Tutti i nuovi media hanno qualche legame con la morte. Un esempio. Perché Alexander Bell cominciò a lavorare a quello che sarà il telefono?».

Mai saputo.
«Muore uno dei suoi fratelli di tubercolosi. Il suo desiderio è trovare un modo, un tramite, per comunicare con l'aldilà. Il desiderio di oltrepassare i confini ha mosso molte scoperte. Tutti i mezzi di comunicazione sono cripte, scenari visionari».

Quegli anni a cavallo dei secoli, Otto-Novecento, con la rivoluzione della radio, ricordano qualcosa.
«Il web».

Già.
«Molto simile. È una rivoluzione fatta dai singoli, in modo anarchico. Radio e Internet hanno avuto un primo utilizzo in campo militare. Marconi utilizzò la radio nell'esercito britannico, Arpanet era una rete militare. Ho notato come lo stesso sentimento di diffidenza e scetticismo avesse accompagnato tutte e due queste innovazioni. C'era la paura che potessero diventare strumenti utilizzati dallo Stato per sorvegliare gli individui».

C evoca come narrazione un codice binario. Bianco-nero, silenzio-rumore, zero-uno, on-off.
«Esatto. Ho cercato di muovermi sulle linee di questa ambivalenza. In particolare il contrasto tra rumore e silenzio è legato ai nuovi media».

È più affascinante il silenzio o il rumore?
«Il concetto di rumore mi interessa molto. Nel rumore c'è tutta la poesia del mondo, del crack dell'universo. Il silenzio è importante perché in realtà è molto chiassoso. Nel silenzio c'è un'assenza di segnale che sa di totalità, una somma di tutti i segnali. Come il bianco è la somma di tutti i colori».

È un romanzo archeologico?
«Fa archeologia della letteratura, parte dal modernismo e va a ritroso nel tempo, fino ad arrivare agli egizi, quel delta del Nilo su cui si sono fondate le altre civiltà e in particolare quella greca da cui ha preso il via la genealogia della letteratura occidentale».

Sterne, Joyce, Bolaño, Pynchon, DeLillo, Wallace. Lei si muove sulla stessa linea?
«Sì, sono quelli che sento più vicini, come anche Daniel Defoe, Dickens con il suo Copperfield e... scusa ma non posso non metterci Shakespeare.

Sicuramente però per me Joyce rappresenta la pietra miliare della letteratura e tutti gli scrittori del passato, moderni e viventi, devono affrontare il paragone con Joyce in qualche modo. Ulisse, che parte dalla petrosa Itaca per navigare il mondo, è il numero primo di ogni modernità».

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