La "supercazzola" di Tognazzi? Fu inventata nel Quattrocento

Il 15 agosto 1975 usciva "Amici miei", commedia di Monicelli che affonda le radici nella realtà. Come dimostra la novella rinascimentale del "grasso legnaiuolo"

La "supercazzola" di Tognazzi? Fu inventata nel Quattrocento

L a banda di Amici miei - l'inimitabile film di Mario Monicelli che uscì nelle sale il 15 agosto 1975 - ha ormai quarant'anni. Ma è come se ne avesse quattro o quattrocento talmente è sempre fresco e amabilmente burlesco. Perché per Amici miei gli anni non sembrano passare? Le audaci imprese della brigata del Perozzi (Philippe Noiret) e del Sassaroli (Adolfo Celi) del Necchi (Duilio Del Prete) e del Melandri (Gastone Moschin) e, naturalmente, dell'inarrivabile conte Mascetti, che è tutt'uno con Ugo Tognazzi, sono la traduzione cinematografica del filone realistico-burlesco della letteratura di casa nostra che, a sua volta, attinge a piene mani dalla vita comunale italica, che è gioia e dolore della «serva Italia». Deve essere questo il segreto del film di Monicelli tratto da un progetto incompiuto di Pietro Germi: tocca una corda vitale e sonante dell'anima italiana. Il Melandri, rilasciando un'intervista a LaPresse proprio in occasione del quarantennale, ha ricordato i giochi di parole del conte Mascetti dicendo che «era tutto così vero che a volte anche noi ci cascavamo».

La supercazzola, prematurata o posticipata che sia, è entrata nel linguaggio ordinario e chissà quanti sono in giro per l'Italia gli scherzi che bande di amici miei di ogni ceto e di ogni risma mettono in atto illudendosi di avere la classe degli amici del professor dottor Alfeo Sassaroli. In un gioco di rimandi dove non si sa se è la realtà a generare la letteratura o la letteratura a generare la realtà.

La supercazzola di Tognazzi-Mascetti ha una vita che precede lo squattrinato conte e una vita che segue sia il film sia l'attore. Non è un mistero che il progetto di Germi affondi le radici, oltre che nei ricordi, proprio nello spirito realistico-burlesco - lo stesso, in fondo, del Decameron del Boccaccio - delle lettere toscane. Non è sbagliato dire, dunque, che la supercazzola nasce sì a Firenze e dintorni ma non nel Novecento, piuttosto nel Quattrocento. I burloni - i bischeri - hanno nomi precisi e importanti: l'architetto Filippo Brunelleschi e il suo biografo Antonio Manetti. Il primo si prese gioco realmente del suo amico legnaiuolo Manetto, detto il Grasso, combinandogli una burla che non solo non dimenticò per il resto dei suoi giorni ma gli cambiò la vita; e il secondo trasformò la burla in letteratura facendola giungere fino a noi con La novella del grasso legnaiuolo (che ora la Bur ripropone a cura di Salvatore Silvano Nigro e Salvatore Grassia). Tutto vero, quindi. Allora, raccontiamo la burla.

A Firenze, in una serata invernale del 1410, Manetto, umile ma grasso legnaiuolo, doveva prender parte a una bella cena con i compari e compagni della sua brigata. Manetto, però, non si fa vedere e i suoi amici ci rimangono così male che si sentono offesi e così, agli ordini del genio ingegnoso e architettonico del Brunelleschi, pensano di rivalersi. Come? Alla cena mancata fanno seguire una beffa organizzata. Al povero legnaiuolo fanno credere di essere un perdigiorno fiorentino: non più il legnaiuolo Manetto ma il fannullone Matteo Mannini. Lo scherzo è architettato meglio della cupola di Santa Maria del Fiore: tanti e tanti sono gli amici in azione e tante e tante le persone coinvolte che Manetto comincia realmente a dubitare di se stesso e non sa più chi è, se il legnaiuolo Manetto o il fannullone Matteo. In questa tutt'altro che piacevole crisi d'identità, Manetto, che non può fuggire a se stesso, decide di fuggire dalla città o, almeno, di cambiare aria e di trasferirsi in una terra lontana, in Ungheria, per tentare la fortuna e - dice la novella - «ebbe buona ventura».

Fu Mario Monicelli a rivelare, in un documentario che Maria Sole Tognazzi fece per ricordare il padre, che le zingarate di Amici miei erano ispirate a fatti realmente accaduti e ad aneddoti noti a Firenze. Gli stessi personaggi erano ricalcati su persone reali della Castiglioncello degli anni Trenta. Tuttavia, la supercazzola fu inventata, come si è visto, in quella strepitosa cultura umanistico-rinascimentale che è tuttora il migliore fiore della cultura italiana ed europea.

Fu inventata sia nella realtà sia nella rappresentazione: a dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, che la burla, lo scherzo, la beffa, la zingarata presuppongono la vita comunale o cittadina i cui veri artefici e protagonisti sono i borghesi ossia i mercanti, gli artigiani, i diplomatici e gli uomini d'azione che non solo girano il mondo ma lo fanno anche girare. Anche con le zingarate.

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