Vincenzo Cerami, la vita era bella

Raggiunse il successo con "Un borghese piccolo piccolo". Poi la notorietà internazionale con il film di Benigni

Vincenzo Cerami, la vita era bella

Disincanto. Ironia. Quel pizzico di sano cinismo che spesso si sposa con l'indole romana più felice. C'era molto da imparare a star vicino a Vincenzo Cerami come ebbi il privilegio di fare nei mesi di Rockpolitik di Adriano Celentano fino alla messa in onda su Raiuno nell'autunno 2005. Per una serie di ragioni capitai immeritatamente nel gruppo di autori che comprendeva tutti nomi di lignaggio - da Carlo Freccero a Diego Cugia, da Andrea Scrosati a Claudio Fasulo - e di cui Cerami era l'espressione più alta e riconosciuta. Erede di Pasolini di cui era stato studente poi aiuto regista e di cui aveva sposato la cugina Graziella Chiarcossi, scrittore affermato (il suo primo romanzo Un borghese piccolo piccolo fu portato al cinema da Monicelli con Alberto Sordi nel ruolo tragico del padre), sceneggiatore di una dozzina tra i maggiori registi italiani (Bellocchio, Giuseppe Bertolucci, Citti, Scola e Amelio tra gli altri), candidato all'Oscar per la sceneggiatura di La vita è bella di Benigni per il quale aveva scritto anche Piccolo diavolo, Johnny Stecchino e Il mostro, Cerami non aveva nulla di quel sussiego con il quale gli intellettuali sono soliti sottolineare la propria cultura e il proprio pedigree. Non che recitasse una forma posticcia di umiltà: pur avendo una conoscenza sconfinata della letteratura e dell'arte brillante e drammatica, Cerami rimaneva sempre un uomo del popolo. Un romano verace, che amava la bella vita e i buoni ristoranti. Sornione, sgamato, profondamente umano, espressione di un'energia solida e sorridente a un tempo. Erano doti preziose in una convivenza tra caratteri forti. Una sera Celentano c'interrogò tutti su quale fosse la frase che più ci colpiva dei Vangeli e lui citò, da scrittore, l'incipit di Giovanni: «In principio era il verbo».

In qualcuna delle sue molte vite, Vincenzo aveva lavorato anche a Hollywood come battutista e autore di gag per produttori cinematografici giapponesi. Conosceva dunque alla perfezione tempi e trucchi per provocare la risata nel pubblico. Il sodalizio con un animale da palcoscenico come Benigni non poteva essere più azzeccato. Lo constatai, con i tantissimi spettatori di quella memorabile serata, alla seconda puntata di Rockpolitik quando, dopo qualche ora di lavoro in albergo, Cerami e Benigni licenziarono il testo della «Lettera a Silvio Berlusconi» scritta da Celentano sotto la dettatura di un Begnini in stato di grazia, remake di quella di Totò e Peppino De Filippo. La scrittura era mestiere, applicazione, lavoro, non vaga attesa dell'ispirazione.

E Cerami poteva passare con facilità da un testo per il teatro leggero o per una canzone a un romanzo, dai commenti sui delitti di nera per Il Messaggero, fino alla critica cinematografica sul Domenicale del Sole 24 ore.

Devo alla sua benevola mediazione una delle mie maggiori soddisfazioni professionali: un'intervista con Benigni sulla Divina commedia e sul suo avvicinamento alla fede. Grazie Vincenzo.

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