Zweig alla ricerca del Graal degli ebrei

Preparatevi a saltare giù dalla diligenza che da Ellsworth porta a Butcher's Crossing. E a dormire in un barile, sul fondo del battello di contrabbandieri diretto a New Orleans. Sono i rischi di chi si avventura in due tra i più bei viaggi letterari in libreria in questi giorni, dedicati al secolo lungo degli Stati Uniti. Quello che ha visto l'America attraversare la «Grande Ribellione», abolire la schiavitù, uccidere Lincoln e creare il mito della Frontiera.
A uno sguardo superficiale, Butcher's Crossing di John Williams (Fazi, pagg. 380, euro 17,50, trad. Stefano Tummolini) e Tutte le altre sere di Dara Horn (66thand2nd, pagg. 456, euro 20, trad. Andreina Lombardi Bom) potrebbero sembrare «soltanto» romanzi storici. Invece sono romanzi di formazione, i cui fuochi si sviluppano sul mito del Far West e sulla Secessione, in due trame limpide e potenti, create da autori che non potrebbero essere più diversi.
John Williams, scomparso nel '94, è quello dell'indimenticabile «eroe esistenziale» Stoner (Fazi), che con Butcher's Crossing - pubblicato nel '60, ora diventerà un film - «primo e miglior romanzo revisionista sul West», scrisse il NYT, «ha aperto la strada a Cormac McCarthy». Il protagonista è William Andrews, ha 23 anni e ha preso sul serio la lezione di Thoreau. Nel 1873 abbandona l'agiata casa bostoniana e gli studi ad Harvard per ritrovare se stesso all'Ovest. Arrivato a Butcher's Crossing su una diligenza trainata da quattro muli, gli basta uno sguardo per abbracciare la nuova realtà: sei baracche di legno tagliate in due da una stradina sterrata e alcune tende sparse. Si unisce a una battuta di caccia al bisonte e a questo punto del libro Williams ci costringe ad abbandonare tutto quel che credevamo di sapere su Buffalo Bill: il sangue di bisonte macchia le Bibbie e i corpi finché rimangono nudi in un tramonto freddo. Del bisonte non si butta via niente. Finché la bestia diviene mistica. E le sue tracce, il suo odore, budella e calore, persino i suoi genitali diventano unico nutrimento d'anima e corpo umani, su uno sfondo ancestrale e implacabile che brutalizza Brokeback Mountain con Apocalypse Now.
L'eroe di Tutte le altre sere è ancora più giovane preda di tumulto: si chiama Jacob Rappaport, ha 19 anni, è figlio di ebrei dell'alta società e scappato dalla casa in Madison Square, New York, la notte prima di un ebraico matrimonio combinato, per unirsi al Diciottesimo reggimento fanteria. I nordisti lo mettono subito alla prova: dovrà avvelenare una spia di altissimo livello, legata a Judah Benjamin, il secondo ebreo a entrare a far parte del senato degli Stati Uniti, il primo ebreo nella storia a far parte di un gabinetto, che però ha scelto «di consacrare le sue doti, tra tutte le nazioni sulla faccia della terra, alla Confederazione». La spia è lo zio di Jacob. E sta per portare a termine un attentato al presidente Lincoln. L'impresa riesce e frutta un secondo incarico: incastrare in Virginia la ribelle confederata Eugenia Levy. Qui il romanzo decolla verso il rovesciamento del concetto di «causa persa», confortato da un ottimo livello di documentazione, la maggior parte concentrata sull'inedito ruolo e sorti dei 130mila ebrei americani nella Guerra Civile. Tra questi, spiega l'autrice, «Il meno noto è l'espulsione degli ebrei dalle zone conquistate del Sud. Il generale nordista Ulysses S.

Grant emanò l'Ordinanza generale numero 11 il 17 dicembre 1862, con la presunta motivazione che gli ebrei “in quanto classe” erano profittatori di guerra. Il che ebbe come risultato l'evacuazione forzata delle famiglie ebree nell'arco di ventiquattro ore, la reclusione per coloro che si rifiutarono di ubbidire, la confisca dei beni». Ci volle Lincoln, per revocarla.

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