D’Alema si sfila sul caso Unipol: «Nulla so»

«Ma non credo che gli elettori voteranno sulla base di quella vicenda»

Laura Cesaretti

da Roma

Il caso Unipol? «È una vicenda della quale nulla so», afferma Massimo D’Alema.
Piuttosto, il presidente della Quercia se la prende (e non è esattamente una novità) con i mezzi di comunicazione, per come hanno trattato e «deformato» la vicenda e le sue implicazioni politiche: «Ci sarebbe da interrogarsi su come l’informazione per tutelare gli interessi specifici della proprietà finisca per deformare la realtà», ed è intuibile che nel mirino ci sia probabilmente il Corriere della Sera (non è una novità neppure questa), testata protagonista del feuilleton estivo delle scalate. Ovviamente, aggiunge D’Alema, anche l’informazione - come i partiti, per esempio - deve «poter tutelare gli interessi specifici che sono legittimi, ma bisogna che ci sia la trasparenza», che a suo parere ha finora latitato. Quel che D’Alema non dice, ma che i suoi in privato ripetono, è che il partito della Quercia deve saper reagire alla «campagna mediatica» che sta per ripartire, e ai tentativi di «giocarci in casa»: c’è, spiegano i dalemiani, «il tentativo reiterato di mettere zizzania al nostro interno, cercando di separare Fassino e D’Alema e di metterli uno contro l’altro», anche sul caso Unipol. Sul quale invece occorre rimanere uniti.
Di una cosa però il presidente della Quercia si dice certo: l’esito tuttora incerto dell’Opa di Unipol sulla Banca nazionale del lavoro, l’andamento delle inchieste giudiziarie e quel che potrà venire fuori dopo gli avvisi di garanzia ai massimi dirigenti della compagnia assicurativa Consorte e Sacchetti, non avranno ripercussioni sulla campagna elettorale ormai in corso e sugli equilibri politici, perché gli elettori hanno ben altro a cui pensare, checché possano scrivere i giornali tirando in ballo il suo partito. «Non credo - osserva D’Alema - che la maggior parte dei cittadini guardi con interesse alla vicenda come fondamentale per la sua vita: ad esempio credo che i cittadini voteranno non sulla base delle vicende bancarie italiane che appassionano solo gli addetti ai lavori, ma sulla base dei conflitti di interesse, sui quali peseranno piuttosto temi della pace e della guerra, e dello sviluppo economico della vita reale delle persone».
Qualunque possa essere l’opinione in materia degli elettori italiani, i ds hanno deciso di essere il più prudenti possibile sulla questione. Sono oggettivamente il partito più esposto alle eventuali intemperie scatenate dal caso Unipol, per i loro legami storici con il movimento cooperativo e per la aperta difesa che i loro principali dirigenti hanno fatto del diritto di Consorte e della sua compagnia di dare la scalata al sistema bancario, ma ora la parola d’ordine è di tenere il più possibile separati i piani. «L’Opa faccia il suo corso, le inchieste il loro: noi ci siamo sempre e solo limitati a esprimere delle valutazioni politiche». Tant’è che ieri gli uomini di Piero Fassino si davano un gran daffare per negare che della questione Unipol e della linea da tenere in materia possa discutersi nella riunione di segreteria di domani: «Perché dovremmo discuterne? Non esiste, abbiamo ben altro all’ordine del giorno: finanziaria, Tav, campagna elettorale...».
La consegna del silenzio è rigidissima, al Botteghino. E per il momento anche gli alleati della Margherita si attengono all’understatement: il mariniano Beppe Fioroni offre addirittura «solidarietà» contro eventuali «processi sommari». Mentre altri dirigenti di primo piano spiegano di non volerne parlare, anche perché «è meglio aspettare di saperne di più, per capire se gli avvisi di garanzia e le iniziative giudiziarie staranno in piedi o si riveleranno dei boomerang».

Certo, per il momento «è inevitabile che Rutelli si goda la sua rivincita: i ds gliene hanno dette di tutti i colori quando si permise di criticare il loro sostegno all’Opa di Consorte, e ora i fatti gli danno ragione».

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