RomaSe questo fosse un delitto, con un assassino e una vittima, sarebbe il sospettato numero uno: M. DA. Non cera al momento delle dimissioni, non cera neanche per telefono perché non si è fatto vivo. Non ha alibi, non si è scusato e non ha detto grazie. Cosa faceva Massimo DAlema mentre il segretario del Pd Walter Veltroni comunicava martedì pomeriggio laddio al cooordinamento? Perché non ha chiamato? E perché, soprattutto, non era presente neanche ieri, al tempio di Adriano, sulla scena dellultimo saluto di Veltroni come segretario del Partito democratico?
Ma forse proprio per questa sua spontanea freddezza, per lassenza assoluta di finzione e per il suo autentico distacco nel momento della difficoltà, lex ministro degli Esteri sul palco della tragedia veltroniana non è stato nientaltro che se stesso. E il commissario resterebbe affascinato dalla sua perfida trasparenza, cancellandolo, chissà, dalla lista dei sospetti. Troppo sfacciato per essere il killer. Ma se fosse il «mandante»?
Se il commissario andasse a rileggere le dichiarazioni degli ultimi giorni, resterebbe turbato dalla siderale distanza tra Veltroni e DAlema, non esibita, ma evidentissima. DAlema che appoggia in pieno la candidatura di Pierluigi Bersani alla segreteria del Pd, DAlema che alla manifestazione della Cgil a Roma non giustifica in alcun modo lassenza di Veltroni, ma si limita a dire: «Non entro in polemica con il segretario».
Ma soprattutto DAlema che non parla, DAlema che non cè. Nessuna telefonata nelle ore della scelta di Veltroni e infine il mistero fitto di ieri, con lassenza vistosa al tempio di Adriano. Di lui si sono perse le tracce. Cera un altro non presente illustre nel parterre: Francesco Rutelli. Ma ha lalibi: era impegnato a Bruxelles (testimoni possono dimostrarlo).
Se Veltroni ne avesse la possibilità, consiglierebbe al commissario di interrogare una persona nella prima fila del suo palcoscenico: Bersani.
Martedì gli aveva attribuito parte delle colpe. Ma Bersani ieri è tornato sul luogo del «delitto»: era lì nel tempio, davanti a tutti, ad annuire vistosamente. Accanto a Dario Franceschini. Il «Giuda» e il «delfino», sussurravano i maligni. Ma chissà poi qual è la verità di questo giallo. Se le lacrime erano tutte vere. Se il killer era uno o erano in tanti.
Certamente ha pianto di cuore Antonello Soro, il capogruppo alla Camera: ha avuto bisogno del fazzoletto mentre Veltroni parlava. Aveva i lucciconi pure Roberto Giachetti. Ha pianto il segretario del Lazio, Roberto Morassut. Non ha versato lacrime ma era più malinconico del consueto Piero Fassino.
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