Dai bond al prestito: bruciati 5,4 miliardi

da Milano

Quella di Alitalia è una crisi che dura da vent’anni. E che agli italiani è costata l’iperbolica cifra di 5,4 miliardi di euro, tra ricapitalizzazioni, emissioni di bond e altre iniezioni di denaro fresco, immediatamente bruciato da questa inesauribile fornace. In questo senso, i 300 milioni del «prestito ponte», attualmente nel mirino della Ue, rappresentano soltanto l’ultima fetta di una torta divorata senza lasciare neanche una briciola dall’insaziabile Moloch.
In vent’anni, dal 1988 al 2007, le perdite «correnti» del gruppo Alitalia – cioè della gestione, che tiene conto di tutti i costi, prima delle tasse e delle partite straordinarie positive o negative – hanno raggiunto i 4,9 miliardi di euro. Una cifra praticamente identica a quella versata dagli azionisti con le ricapitalizzazioni, che hanno assorbito 3.776 milioni negli ultimi 15 anni, a partire dalla gestione di Domenico Cempella nel 1996-1998, poi con Francesco Mengozzi nel 2001-2002, infine con l’aumento da un miliardo lanciato con il piano di Giancarlo Cimoli. Ma ci sono stati aumenti di capitale anche prima: 108 milioni di euro nel 1988 e 290 milioni nel 1990, quando amministratore delegato era Giovanni Bisignani. In tutto si arriva a 4.174 milioni di ricapitalizzazioni in vent’anni.
Ma a questa cifra si devono sommare i cosiddetti «Mengozzi bond», 715 milioni di obbligazioni convertibili emesse nel 2002 con scadenza 2007, poi prorogata al 2010.

Infine, il piano Cimoli ha previsto l’intervento di una società statale, la Fintecna, chiamata a versare circa 200 milioni nelle esauste casse di Alitalia Servizi. Un totale di 5,1 miliardi. Senza contare l’ultimo «prestito ponte» da 300 milioni: ma i conti sono rimasti in profondo rosso.

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