Dalle risse in Ticinese alle Olimpiadi Cent’anni fa il primo oro nella lotta

Ieri il trionfo di Minguzzi, nel 1908 quello di Porro a Londra: era il bullo del quartiere e picchiava tutti

Nelle sue memorie di milanesone raccontò che, per premiarlo, re Vittorio Emanuele III gli regalò una medaglia d’oro «grossa come una michetta». Senza imbarazzo visto che sua altezza reale, non certo noto per la statura, si trovò del tutto a suo agio al cospetto dei suoi appena 150 centimetri. E fu felice di far notare come un uomo così piccolo potesse raggiungere successi così alti. A buon intenditor. Nell’occasione si trattava della vittoria nella lotta greco-romana, categoria pesi leggeri (66,6 kg) all’olimpiade di Londra, il primo alloro della federazione italiana. Nel 1908, giusto cent’anni prima del successo di ieri firmato Andrea Minguzzi. La foto in bianco e nero è quella di Andrea Porro, milanese doc di porta Ticinese. Dove i suoi genitori gestivano una trattoria. Lui era un ragazzino rissoso che scendeva in strada e picchiava sempre i compagni di gioco. La madre, disperata, lo fece imbarcare come mozzo, ma la rissa rimase il suo hobby preferito. Fuggì dalle navi e pensò di entrare nella palestra del quartiere: «el paviment de giass», perché con il freddo dell’inverno si congelava tutto. Biondo, occhi azzurri, orecchie a sventola, nonostante il metro e mezzo atterrava chiunque gli finisse tra le braccia possenti come tronchi. Tanto che, quando a 17 anni vinse a Legnano il suo primo torneo, la Gazzetta parlò di «Enrico, il ragazzo che atterra gli uomini».
Grinta e cattiveria non gli mancavano, ma non potè partecipare all’olimpiade di Saint Louis nel 1904 perché il servizio di leva durava cinque anni e lui era imbarcato sul cacciatorpediniere Castelfidardo. A vent’anni vinse il suo primo campionato italiano. Lui pesava appena 60 chili, ma battè chi ne pesava quasi 70. E così, grazie a una licenza concessa dalla Regia Marina, nel 1908 potè finalmente partire per l’olimpiade di Londra per difendere i colori dell’Italia e della Pro Patria di Milano. Sul tappeto incontrò l’ungherese József Téger, suo compagno d’allenamento che ne conosceva ogni tattica. Fu un incontro interminabile che durò più di mezz’ora, ma alla fine Porro vinse, nonostante gli arbitri a cui il suo carattere da guascone proprio non andava giù. Entusiasta, invece, era il pubblico londinese che quando vide quel Davide affrontare i gigantoni svedesi Gustf Malmstrom e Axel Persson non potè che tifare per lui. Tra uno strattone e l’altro il costume gli andò in brandelli, così come era già successo prima. La federazione era povera e lui non aveva più di che cambiarsi. Per fortuna lo spirito olimpico prevalse e un finlandese gli prestò il suo per la finale. Grande il doppio e l’effetto fu davvero comico. Ma lui non rise e con il solito caratteraccio e i soliti estenuanti 40 minuti di lotta, fece fuori anche il russo Nikolay Orlov. Un omaccione di sette chili più pesante. Servì anche un round supplementare di 20 minuti, perché i giudici non erano convinti della superiorità «dell’italiano». Alla fine la medaglia d’oro, consegnata dalla regina Alessandra.
Al ritorno a La Spezia trovò ad aspettarlo per i festeggiamenti la folla, la banda della marina e l’ammiraglio Lucifero. Che gli fece i complimenti, ma non gli risparmiò certo quel che rimaneva della ferma militare. Lui, grintoso ma modesto, non capiva come mai ci fosse tutta quella gente.

In serata arrivò anche sua maestà il re Vittorio Emanuele III, ma lui era andato a ballare. La sua grande passione. Corsero a prenderlo, gli misero una divisa e si trovò di fronte a sua altezza. Anzi, alla stessa altezza.

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