Un economista un po snob come Alfred Marshall ricordava spesso ai propri studenti: «Se cè qualcosa che uno scienziato sociale deve temere è il consenso popolare, lapprovazione a tutti i costi. In questo caso è facile che la posizione sia scorretta». Per iniziare a porre qualche domanda, anche critica, sulleuro e sui suoi custodi della Bce, più che gli allievi delleconomista inglese abbiamo dovuto aspettare la crisi delle tre economie principali delleurozona (Francia, Germania e Italia) e il deficit di leadership dellasse franco-tedesco, che ha partorito la costruzione della moneta unica.
Il vicepresidente della Bce, il greco Lucas Papademus, per la prima volta venerdì scorso ha avuto un atteggiamento vagamente critico nei confronti della moneta unica. E anche se in formula dubitativa si è chiesto quale fosse la relazione tra la scarsa crescita della zona euro e lintroduzione della moneta unica. Il Financial Times, di per sé espressione istituzionale degli euro contrari, ha subito messo in evidenza la questione, piazzando in prima pagina un titolo inequivocabile: «La Bce teme che leuro abbia danneggiato la crescita». E ancora. Per la prima volta da due anni a questa parte, la Banca centrale europea ha fatto filtrare la possibilità di tagliare i tassi di interesse per dare una mano ad uneconomia che arranca. Mettendo insieme le due componenti ne esce un frullato un po indigesto per lortodossia eurocentrica.
Difficile pensare che si possa tornare indietro sui passi delle valute nazionali. La vera critica che al momento dellintroduzione delleuro si poneva una rada pattuglia di economisti, e tra questi Antonio Martino, non era tanto il beneficio che avrebbe portato una moneta comune quanto il processo coercitivo che laveva imposta agli Undici (ora dodici). E limpalcatura costruita intorno alla banca centrale. «La questione principale - scrive Martino in Promises, Performance and Prospects, ed. Liberty Fund - non riguarda lindipendenza della Bce, ma il principio di responsabilità. Considerando lenorme potere di cui è dotata, è incredibile che i suoi dirigenti siano responsabili dei propri comportamenti solo di fronte a Dio». Ad esempio viene da chiedersi se aver tenuto fermi al 2 per cento da due anni i tassi di interesse, pur rispondendo al mandato impresso nello statuto di controllo rigido dellinflazione, non sia stato miope.
La questione appare logica. Oggi allinterno della Bce ci sono governatori che vorrebbero un taglio dei tassi per dare un po di ossigeno a uneconomia europea che perde fiato. Linflazione oggi è più o meno simile a quella di un anno fa. Quando la Bce, al contrario, parlava di un aumento dei tassi. Anzi se proprio vogliamo, il caro petrolio rischia oggi di contribuire al rialzo generalizzato dei prezzi. Allora occorre che qualcuno ci spieghi: se i timori di inflazione hanno fino a ieri tenuto ferma la barra dei tassi, perché ora non la governano più? O sbagliavano prima, oppure commettono un errore oggi.
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