Cronache

Davis e calcio, lo sport fa tornare Genova Superba

Davis e calcio, lo sport fa tornare Genova Superba

(...) è molto di più di un evento sportivo. È l’esempio di come un’altra Genova sia possibile.
L’avevo già scritto un mesetto fa, presentando la serie incredibile di eventi sportivi che aspettava Genova: un mese di allenamenti di Alinghi che hanno portato la nostra città nel cuore dell’armatore svizzero Ernesto Bertarelli («siete stati fantastici»), lasciando intravedere la possibilità che possa esserci un seguito, magari nella prossima Coppa America. E poi la Davis.
E poi il grande calcio: sociologi e studiosi di storia sociale dello sport si sono già sbizzarriti nell’analisi di Genoa e Sampdoria a punteggio pieno (solo con la Juventus in loro compagnia) in vetta al campionato di calcio di serie A dopo tre giornate. I rossoblù primi da soli nel gironcino di Europa Cup sono, se possibile, un’ulteriore ciliegina sulla torta. Si parla di una squadra che solo dieci anni fa rischiò seriamente la C e il fallimento e di un’altra che la C l’ha vissuta sul serio solo cinque anni fa e sull’orlo del fallimento ci ha ballato più di un’estate. E ora sono modelli. E ora sono in mano a presidenti e strutture che, pur caratterialmente e imprenditorialmente diverse, sono comunque un modello per tutto il resto del calcio italiano.
Soprattutto - in un panorama calcistico fatto di spalmadebiti e di società sponsorizzate con soldi pubblici - Genoa e Sampdoria non sono lì con l’aiuto delle istituzioni. Ma nonostante le istituzioni. E la vicenda dei seggiolini e dello scontro sul terreno di gioco del Ferraris è illuminante. È facile fare i comunicati di giubilo il lunedì sui miracoli delle squadre locali. Sarebbe bello lavorare anche dal martedì alla domenica per contribuire a questo miracolo. E mica foraggiandole con soldi che non ci sono. Semplicemente, non mettendo i bastoni fra le ruote.
Poi, certo, a volte anche le istituzioni il loro lo fanno. Nella Davis c’è lo zampino del Comune e la Regione sta facendo il possibile e l’impossibile per avere una tappa del Tour de France e, soprattutto, i mondiali di ciclismo del 2012, con la collaborazione dell’Unione ciclistica di Pontedecimo. Appuntamenti importantissimi per Genova. Che ha un solo problema: quello di far sapere al mondo quando è bella, di una bellezza assoluta e straniante.
Se non lo sai, non ci credi. Se lo sai, te ne innamori. A me, almeno, è capitato così. E, come me, ce n’è moltissimi. Soprattutto, i non genovesi. Perchè è sempre così: l’essenziale è invisibile agli occhi. Lo diceva il Piccolo Principe, vale sempre.
Vale soprattutto in un posto dove c’è gente che passa le giornate a parlare male degli altri, più impegnati ad augurare il male al vicino che ad andare bene loro. Poveracci che non hanno niente di meglio da fare che spargere veleni in giro, sedicenti intellettuali e intellettualesse specializzati solo nel dire falsità su terzi, ingrati di ogni ingratitudine che non meritano nemmeno di essere nominati. De minimis non curat praetor.
Invece, Valletta Cambiaso. Invece, Federer. Della parte sportiva vi racconto nelle pagine dello sport nazionali. Un piacere assoluto per gli occhi, nonostante la disfatta azzurra che potrebbe finire già oggi con il doppio.
Ma quello che interessa qui è il miracolo di aver messo insieme un colpo d’occhio e un evento del genere in pochissimo tempo e, soprattutto, ribadisco, con la forza dei privati. In una città che è stata paralizzata per mesi e mesi dalle liti per l’elezione del presidente di Confindustria - liti che si trascinano strascichi ancora oggi - è una boccata d’aria pura leggere i nomi dei membri del comitato organizzatore: dal presidente Giulio Schenone, al vice Filippo Ceppellini, ai consiglieri Mauro Iguera, Rodolfo Lercari, Giovanni Mondini e Stefano Messina. Ed è proprio su loro due che ci tengo a soffermarmi.
Giovanni e Stefano sono l’ultima generazione di due famiglie che sono la storia imprenditoriale di Genova: Mondini è numero due dell’organigramma della Erg, esponente di punta dell’altra metà della famiglia Garrone, genoano doc in mezzo alla famiglia che ha salvato la Sampdoria. Che è come dire la nemesi direttamente in famiglia. Ma che si chiami Garrone o che si chiami Mondini, proprio quella famiglia è stata protagonista di una serie di interventi per Genova, dal Carlo Felice alla Fondazione Edoardo Garrone, che spesso il pubblico si è sognato. Poi, certo, sono mancati i «grazie», ma questa è un’altra storia.
Stefano Messina è invece l’erede di suo zio Giorgio nella gestione dei rapporti umani e nella passione per la città, al di là delle banchine. E proprio a Giorgio Messina sono idealmente dedicati questi tre giorni sui campi di Valletta Cambiaso. Fu lui, presidente per 22 anni del tennis club, a portare la Coppa Davis a Genova nel 1998, sostenendo le spese per far sì che fossero i nostri impianti ad ospitare quell’Italia-India 4-1, come ha opportunamente ricordato sul programma ufficiale dell’incontro anche il neodirettore del Secolo XIX Umberto La Rocca, che è un vero giornalista e una persona doc.
E quello che è successo in pochi mesi, dalla domanda «come si fa a portare la Davis a Genova?» al primo palleggio di ieri, ricorda molto quella storia. Con l’aggiunta dell’Aon Challenger, il torneo da centomila dollari che ha riempito i campi la scorsa settimana.
Insomma, è come se, per una volta, tutti i luoghi comuni su Genova venissero sfatati da una serie di circostanze e di eventi. Tutti sportivi e tutti concentrati in un mese.
Poi, certo, non si può far finta che i problemi di sempre non esistano. Non si può far finta che tutti vadano d’accordo. E non si può far finta di vivere nel migliore dei mondi possibili. È il Candide di Voltaire a spiegarci che le teorie del dottor Pangloss non vanno lontano e che è meglio coltivare il nostro giardino.


Ma se il nostro giardino - sia pure sportivo - fa crescere e diventare grande la città, allora l’innaffiatoio è quello giusto.

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