De Pasquale fa flop "Contro Berlusconi neppure una prova"

Il Gup Vicedomini smonta il teorema del pm che accusa il Cav nel caso Mediatrade: "Inutile fare pure il processo"

De Pasquale fa flop "Contro Berlusconi  neppure una prova"

Milano - «Il complesso degli elementi consente di escludere che Silvio Berlusconi abbia concretamente esercitato poteri di fatto sulla gestione di Mediaset, anche sotto forma di semplici direttive, continuando a gestire l’asserita frode nella compravendita dei diritti televisivi unitamente al suo “socio occulto”, Frank Agrama». Detta più chiaramente, «è inutile procedere nel dibattimento nei confronti dell’imputato Berlusconi». Più che proscioglimento, una bocciatura. Il pm Fabio De Pasquale aveva chiesto il rinvio a giudizio dell’ormai ex presidente del Consiglio, accusato di appropriazione indebita e frode fiscale nella vicenda Mediatrade. E ora è pronto a fare ricorso in Cassazione. Ma c’è un concetto che ritorna più volte nelle motivazioni della sentenza con cui il gup di Milano Maria Vicidomini ha disposto il non luogo a procedere nei confronti del Cavaliere. «Non ci sono prove».

Così, «non è emerso alcun elemento probatorio a carico di Berlusconi» dalla «copiosa documentazione bancaria» ottenuta anche attraverso rogatorie internazionali. E nemmeno è stato «offerto dal pm alcun elemento probatorio, preciso e concreto, che possa considerarsi apprezzabilmente significativo dell’esistenza in capo all’imputato Berlusconi di reali poteri gestori della società Mediaset».

Piuttosto, il contrario. Il giudice (che ha comunque rinviato a giudizio per frode fiscale Pier Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri) si sofferma sul «tenore della corrispondenza intervenuta negli anni 2001-2003 tra Frank Agrama e la dirigenza Fininvest-Mediaset», che «collide nettamente con l’impostazione accusatoria, secondo cui anche negli anni oggetto delle imputazioni del presente giudizio (2002-2009) Frank Agrama sarebbe stato socio occulto di Silvio Berlusconi». Cosa si dice in queste lettere? In una in particolare - del 29 ottobre 2003 - il produttore americano si lamenta perché il gruppo Mediaset non si è impegnato con una formale lettera di intenti ad acquistare tramite le sue società diritti per 40 milioni di dollari l’anno. Per il gup, i timori di Agrama dimostrano come fra lui e il premier non esistesse alcun patto, tanto da indurlo a cercare rassicurazioni sugli investimenti con altri manager dell’azienda. Anzi, proprio in quel periodo tra l’imprenditore straniero e Mediaset i rapporti erano «incrinati». Per dirla con le parole del giudice, quella corrispondenza è la «prova positiva dell’assenza di qualsivoglia intervento da parte di quest’ultimo (Berlusconi, ndr) sulla dirigenza del gruppo Mediaset per accontentare le richieste di Agrama».

Insomma, per quale motivo Agrama avrebbe dovuto insistere «tanto ripetutamente e in forma scritta con la dirigenza Mediaset per ottenere che i rapporti commerciali con le sue società proseguissero come prima»? Non sarebbe bastato «rivolgersi al proprio socio occulto Berlusconi per ottenere quanto richiesto nell’asserito interesse comune di entrambi»? Insomma, «nessuno intervento fu posto in essere da Berlusconi sui vertici di Mediaset per assecondare le pretese di Agrama, che infatti vide radicalmente diminuire il suo fatturato con le società del gruppo». Un’ultima stoccata.

Perché «i riferimenti» a Berlusconi «evincibili dalla poderosa mole di atti depositati dal pm sono essenzialmente relativi al periodo temporale coperto dalle imputazioni del processo “diritti” (diritti Mediaset, in cui l’ex premier è accusato di frode fiscale, ndr), in corso di celebrazione». Ne bis in idem, o quasi.

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