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Decine di firme al manifesto del paese che produce: basta con l'Italia dei furbi

Ondata di adesioni al manifesto del Paese che produce pubblicato ieri dal Giornale contro lo strapotere di Repubblica e dei giudici politicizzati. Come aderire: se siete d'accordo scrivete una mail all'indirizzo internet nofurbi@ilgiornale.it Quella borghesia che spaventa Stampa e Corriere

Decine di firme al manifesto del paese 
che produce: basta con l'Italia dei furbi

Un’altra lunga lista di firme. Imprenditori, manager, artigiani e liberi professionisti che chiedono ancora di poter aderire al «manifesto» lanciato ieri dal nostro quotidiano. C’è anche un ex generale di corpo d’armata. Alcune le potete leggere qui in fondo. Altre arriveranno nei prossimi giorni all’indirizzo di posta elettronica messo a disposizione dal Giornale (nofurbi@ilgiornale.it). Sono decine le adesioni all’appello dell’Italia che produce e che si ribella al «Paese dei furbi». Allo strapotere arrogante di Repubblica e dei magistrati politicizzati. Lettere al direttore, commenti inviati al nostro sito internet di chi sta con un uomo del fare come Michele Perini. Imprenditore di successo, già presidente di Assolombarda, l’associazione che raccoglie gli industriali di una delle zone a più alta produttività nel mondo e oggi al vertice di Fiera Milano. «In molti mi hanno già cercato - raccontava ieri -. E nei prossimi giorni molti altri si aggiungeranno. Ho ricevuto un invito di Gad Lerner per andare alla sua trasmissione». Probabilmente Perini non ci andrà. Perché le persone serie non si muovono per finire in tivù. Per qualche attimo di celebrità. Non ne ha bisogno. Per lui parla la sua storia di imprenditore. E i valori che oggi chiede di riaffermare.
Concetti semplici, quasi ovvi. Ma che, invece, rischiano di diventare addirittura rivoluzionari in un Paese che ha perso la cultura d’impresa. Che troppo a lungo si è crogiolato in un’economia assistita dallo Stato. Fino a dissanguarlo per continuare ad aiutare i soliti noti. Falsando il mercato e le più elementari regole del vivere, prima ancora che del produrre, civile. Come con Carlo De Benedetti, accompagnato per mano insuccesso dopo insuccesso. Una lista talmente lunga che si fa perfino fatica a ricordarla. A meno che, come molti dei firmatari dell’appello, non si sia vissuta sulla propria pelle l’ingiustizia. Costretti magari a chiudere l’azienda di famiglia, mentre i boiardi di Stato allungavano l’ennesimo aiuto ai protagonisti della finanza rapace. Il vero tumore, si scopre oggi, annidato in seno all’economia. «È alquanto singolare - si legge nell’appello - la storia di questo Paese dove spesso la capacità del fare, del costruire, dello sviluppare attività imprenditoriali e di essere portatore di valori positivi sconta l’invidia di chi, invece, ricerca aiuti e mercato protetto fregandosene dei “morti” che lascia alle spalle delle attività fallite, delle persone che hanno perso il lavoro, delle aziende finite, chiuse per sempre». Una storia che di certo non appartiene all’Ingegnere. «Questa è la vera diversità tra un imprenditore e un finanziere più portato a essere un abile profittatore di situazioni favorevoli a se stesso, grazie alla sponda politica e a un’etica quanto mai discutibile. Ecco perché serve la copertura di un autorevole, anche se criticabile, quotidiano, ecco perché è importante partecipare agli aspetti istituzionali dell’associazionismo intervenendo e bacchettando i colleghi in nome dell’etica. Ecco perché in più occasioni si è lanciato il tema dell’etica utilizzando le pagine di Repubblica». Di seguito la lista nera della sbandierata tessera numero uno del Pd: la Fiat, l’acquisto della Sme, dichiarata prima non vendibile per poi permettergli di acquistarla investendo 150 miliardi su un totale di 450 e lasciando a Mediobanca e Imi i restanti 300. Qualche anno dopo, fatto lo spezzatino del gruppo, le varie società furono vendute sul mercato ricavandone 2mila miliardi di lire. «Bravo! Certamente bravissimo per sé, non per il Paese che si è ritrovato macerie lungo la strada». Macerie. E poi la Olivetti. «I telex venduti quando non si utilizzavano più e come questa tante storie di commistione tra potere ed economia politicamente protetta».
Gli imprenditori hanno la memoria lunga. E ancora un briciolo, ma solo un briciolo di pazienza. Ma solo perché in gioco c’è un futuro diverso.


LE ALTRE FIRME
Stefano Santini, imprenditore (Grosseto)
Lucrezia Berti, pensionata (Milano)
Isabella Berti, impiegata (Milano)
Piero Agnetta, imprenditore (Milano)
Mario Fratini, funzionario (Grosseto)
Sergio Frediani, avvocato (Grosseto)
Nanda Delaini, pensionata (Milano)
Maurizio Battistello, manager (Garlasco)
Ambra Crosignani, manager (Milano)
Roberto Delaini, artigiano (Tremosine)
Giabbattista Lazzari, professionista (Desenzano)
Eugenio Pasta, imprenditore (Milano)
Valeria Visconti, manager (Milano)
Marco Predari, manager (Milano)
Anna Fondrieschi, manager (Milano)
Peter Brunner, tecnico (Biella)
Roberto Conforti, docente e manager (Milano)
Carla Zucchi, consulente d'arte (Milano)
Dina Ceoni, artigiano (Dro, Trento)
Angelo Perini, commercialista (Desenzano)
Luigi Coloneri, ex generale corpo d'armata (Milano)
Patrizia Vigon Hoenning O’ Carrol, interprete (Milano)
Sergio Porcellini, architetto (Ivrea)

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