Uno dei ginecologi esce allo scoperto

Per quattro volte la nostra cronista si è recata in consultori e ospedali di Genova con un certificato dove si diceva che era in gravidanza e chiedendo di abortire. In nessun caso - come ha raccontato nell’inchiesta pubblicata mercoledì dal Giornale - è stata scoraggiata a farlo, come prevede la legge 194. Nei primi due consultori e in un ospedale le viene solo ricordato che per avere il certificato di aborto (il via libera all’operazione) bisogna prima sottoporsi a una visita, in un altro consultorio il certificato di aborto è rilasciato dal medico.
Quel ginecologo ieri si è messo in contatto con il Giornale per ricordare che «sì, è vero, ho rilasciato il certificato di aborto, ma dopo averlo fatto ho ricordato alla signora che il Centro di aiuto alla vita di Genova si trova in via Caffaro e ho aggiunto che esistono dei metodi contraccettivi per evitare gravidanze indesiderate».
La legge prevede invece che chi opera nei consultori - dopo aver chiesto le cause che hanno spinto la donna a decidere di abortire - debba adoperarsi perché questi problemi (economici, di famiglia, psicologici) siano risolti. Il ginecologo ricorda di essersi informato sui motivi per cui la donna aveva deciso di interrompere la gravidanza. «Personalmente sono contrario all’aborto - racconta ancora il ginecologo - ma esiste una legge dello stato che lo prevede. Nel caso in questione, ho controllato i documenti della signora che avevo di fronte, erano in regola.

Le ho chiesto perché voleva abortire e mi ha risposto che aveva dei problemi economici. Ogni giorno assistiamo a dei veri e propri drammi legati a una scelta così difficile: la prospettiva di crescere un figlio in una situazione di precarietà. È una cosa che angoscia e che noi dobbiamo considerare».

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