Il delirio di un sindaco Pd: "I leghisti bruciano barboni"

La sparata anti Lega del primo cittadino di Pistoia finisce in un video su YouTube. E il collega veneto Gobbo prende carta e penna: se insisti ti querelo

Il delirio di un sindaco Pd:  "I leghisti bruciano barboni"

Ve lo ricordate? Una volta c’erano i comunisti che mangiavano i bambini e i cosacchi che volevano abbeverare i loro cavalli sudati alla fontana di San Pietro. Ma adesso, per la legge del contrappasso, a spararla grossa è proprio un lontano erede del Pci. Infatti, secondo Renzo Berti, sindaco Pd di Pistoia, a Treviso bruciano i barboni. Il suo collega trevigiano, il leghista Gian Paolo Gobbo, non l’ha presa molto bene: «Sono addolorato e turbato, è stata trasmessa un’immagine primitiva razzista e falsa della nostra città». E minaccia querele.

Accusato di alzare sempre i toni, considerato incapace di condurre delle discussioni civili, ora il Carroccio si trova dall’altra parte. Gobbo non si può certo definire un tipo moderato. Non vuole gli immigrati «perché in Veneto non c’è posto», ha firmato un’ordinanza che vieta l’accattonaggio e, se soltanto la legge glielo consentisse, multerebbe volentieri i gay che si baciano. Ma bruciare clochard e senzatetto, quello no, è davvero troppo: «Noi non siamo dei violenti».

La frase incriminata Berti l’ha pronunciata nel maggio scorso, durante una riunione dei capigruppo del comune di Pistoia. Parole che non sono andate giù al presidente dei consiglieri della Lega, Daniela Simionato, che le ha registrate e pubblicate su Youtube: si sente la voce del sindaco, che dice appunto che a Treviso «ai barboni gli si da fuoco», poi delle risate in sottofondo, schiamazzi vari e la risposta della Simionato: «Guarda che Treviso è un modello di integrazione».

Da allora, nonostante un fitto scambio di lettere, la polemica tra le due amministrazioni comunali non si placa. Gobbo, risentito, ha preso carta e penna e ha scritto al suo collega toscano: «Auspico che ella converrà con me che quelle frasi, peraltro estranee al dibattito politico interno, finiscono con il risolversi in un danno per l’intera cittadinanza e gli organi politici che la rappresentano. Il messaggio insito nelle sue parole - si legge - è quello di una comunità primitiva, priva di princìpi di solidarietà umana e sociale, incline all’espulsione del diverso e persino connotata da atteggiamenti di tipo violento e di stampo fortemente razzista». Conclusione: «Spero che affermazioni del genere non vengano più ripetute, dovendo in tal caso procedere alla tutela dell’immagine della mia città, dei miei cittadini e della mia amministrazione».

Caso chiuso? Nemmeno per sogno. «Speravo che il nostro sindaco si scusasse con i trevigiani - dice la Simionato - ma non lo ha fatto. Speravo che dicesse che si trattava solo di una battuta, ma non lo ha detto. Anzi, peggio, ha insistito affermando che in proposito c’era pure un’ordinanza comunale. Così ha passato un messaggio mistificatorio».

Berti ha replicato sul suo blog. In parte, si anche scusato: «So bene che a Treviso non danno fuoco ai barboni - ha scritto sulla pagina personale - ma intendevo dire che in quella città e in generale nelle altre a guida leghista non c’è di solito un atteggiamento molto accogliente nei confronti degli stranieri». Lo sostiene, dice, pure l’enciclopedia online Wikipedia, quando parla del predecessore di Gobbo: «Giancarlo Gentilini ha acquistato una certa fama per le sue dichiarazioni xenofobe, omofobe, antimeridionali e contro la dignità delle donne».


Poi però anche il sindaco di Pistoia ha capito che forse era meglio chiudere le ostilità e fatto un passo indietro: «Dalla reazione della Simionato arguisco che mi sbagliavo, mi scuso quindi di aver frainteso il pensiero leghista come ostile al rapporto con gli immigrati». Intanto, attenti ai cosacchi e ai bambini.

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