Carissimo Granzotto, ricorro alla sua indefettibile esperienza giornalistica per togliermi uno sfizio. Sa lei indicarmi quale è stato il Presidente della Repubblica Italiana più garrulo? Cè una scommessa in ballo: qualcuno dice il povero Cossiga, ma a me risulta che garrulo Cossiga lo divenne alla fine del mandato, altri dicono Napolitano che non passa giorno senza che dica la sua, su tutto e tutti. Una vera e propria incontinenza oratoria. Chi ha ragione?
Genova
Eh, troppa grazia, caro Simonetti: addirittura idefettibile. Poi non si lamenti se mi monto la testa. Allora, chi è il più garrulo? Cominciamo a leggere cosa prescrive la Costituzione (più bella del mondo, va da sé) al titolo: Il Presidente della Repubblica. Articolo 87: «Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta lunità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere. Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione. Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione. Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato. Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, lautorizzazione delle Camere. Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Presiede il Consiglio superiore della magistratura. Può concedere grazia e commutare le pene. Conferisce le onorificenze della Repubblica». In riferimento alloggetto della nostra indagine, la garrulità, troviamo dunque un solo e secco accenno: «Può inviare messaggi alle Camere» Punto e basta. Non è quindi nelle competenze, nei diritti o nei doveri presidenziali la così detta esternazione. Possono essere tollerate quelle di circostanza («La recente alluvione è una sciagura che ci colpisce tutti», «La pace è un bene auspicabile», «Coraggio, dopo aprile viene maggio» eccetera), ma ogni altro intervento, in ispecie politico, esula dal bon ton costituzionale. Anche perché la presidenza della Repubblica non è un potere aggiuntivo a quelli legislativo, esecutivo e giudiziario. Né ha la titolarità della rappresentanza, faccenda attribuita anche al Parlamento e dunque al governo oltre che alla Magistratura la quale come ognun sa sentenzia in nome del popolo italiano (e dunque anche a nome suo, caro Simonetti. Contento?).
Ciò premesso, veniamo al garrulismo. Ebbene, a rompere lincanto di una sfilza di presidenti taciturni fu Sandro Pertini. Che però esternava su temi di varia e talvolta sorprendente umanità e rarissimamente mise il becco, come familiarmente susa dire, in questioni strettamente politiche. I suoi successori preferirono mettersi la sordina, meno Oscar Luigi Scalfaro che si mise, al contrario, il megafono lanciando il suo epocale «Non ci sto!» addirittura a reti unificate. Cossiga, il Picconatore, fece fatica a tacersi e infatti non tacque, diventando però ciarlierissimo solo una volta disceso il Colle. Il chiaro Giorgio Napolitano, invece, sembrerebbe proprio affetto -sia detto con tutta la reverenza possibile- da incontinenza verbale. Che riserva, per lo più, a temi squisitamente politici ciò che suscita qualche perplessità fra i cultori non «sinceramente democratici» del totem costituzionale. Tuttavia, lultima sua esternazione - sto scrivendo nel pomeriggio di giovedì; ieri, dunque, per voi che leggete - è di una sincerità e di un candore che tutto perdona.
Paolo Granzotto
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