Difesa, De Gregorio vuole 14 miliardi per votare sì

Gian Maria De Francesco

da Roma

O i 14 miliardi di euro promessi in Finanziaria oppure niente voto. Il presidente della commissione Senato, Sergio De Gregorio, è stato chiaro: il via libera della manovra a Palazzo Madama per il quale è necessario l’assenso dell’ex dipietrista è condizionato all’incremento dei fondi per le spese militari.
La questione non è di poco conto per una maggioranza dove le forze pacifiste e antimilitariste della sinistra radicale sono poco sensibili a queste argomentazioni. In realtà il premier Prodi, i ministri dell’Economia Padoa-Schioppa e della Difesa Parisi stanno cercando di non incartarsi nei tatticismi e cercare di far passare maggiori stanziamenti senza creare clamori sill’asse Prc-Verdi-Pdci. Ma che cosa fa la Finanziaria per le Forze Armate? La legge di bilancio prevede tagli per complessivi 550 milioni annui sia al capitolo investimenti che a quello delle spese correnti come stipendi e professionalizzazione. A tutto questo si aggiunge la possibilità di scambio del patrimonio immobiliare tra ministero della Difesa ed enti territoriali. Un’operazione da 30 miliardi di euro circa che dovrebbe essere gestita dall’Agenzia del Demanio e che De Gregorio disapprova totalmente.
Di qui la scelta dell’esecutivo di fare pronta retromarcia per non perdere un voto prezioso al Senato: stato di previsione per il 2007 modificato a 14 miliardi con 2,1 miliardi per investimenti e manutenzione contenuti in un emendamento ad hoc del governo. A questo si aggiunge l’istituzione di un fondo triennale da 4,45 miliardi per le esigenze di investimento della Difesa, ovvero per l’acquisto di navi, elicotteri e carri armati. E in un altro emendamento è ricomparso anche il miliardo di euro per le missioni di pace precedentemente stralciato dalla Finanziaria. «Non si può pensare che ogni anno si cambino indirizzi: lo strumento militare si pianifica a lungo termine», si è lamentato martedì scorso il capo di Stato maggiore della Difesa, Giampaolo Di Paola. «Se non mi danno i fondi per stipendi e sicurezza, io non voto», ha ribadito ieri De Gregorio.
Ma se la partita si chiudesse così, sarebbe troppo facile.

Una sessantina di parlamentari dell’Unione ha firmato un appello al premier Prodi richiamandolo all’attuazione del programma. E i comunisti duri e puri di Palazzo Madama (Giannini, Rossi, Turigliatto) potrebbero cambiare anche intenzione di voto sulla Finanziaria.

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