Politica

La difficile caccia ai miliardi con cui Al Qaida finanzia le stragi

Organizzazioni caritatevoli, rimesse degli emigrati, banche corrotte e traffico di droga sono i principali sistemi grazie ai quali il gruppo elude i controlli

da Milano

La cifra è impressionante: secondo stime d’intelligence Al Qaida dispone di 5 miliardi di dollari. Una fortuna a cui, dall’11 settembre, l’Occidente dà la caccia. Sono tutti mobilitati: gli Stati Uniti, con 20 agenzie federali; l’Unione Europea; il Fatf (Financial action task force), un organismo intergovernativo specializzato nella lotta al riciclaggio; l’Onu; le principali organizzazioni internazionali. Eppure fino a oggi sono stati bloccati o confiscati solo 174 miliardi di euro, di cui due in Europa e 500mila in Italia. Un’inezia: il gruppo di Bin Laden continua a disporre di oltre il 90% del proprio patrimonio. E a muovere ogni anno tra i 20 e i 30 milioni di dollari, che servono a finanziare le cellule in sonno sparse per il mondo, a coprire la latitanza di personaggi eccellenti, come lo stesso Osama e il suo braccio destro Al Zawahiri, a comprare armi ed esplosivi, a progettare e portare a termine gli attentati.
Al Qaida non sta ferma, i soldi girano: quelli spesi vengono subito integrati da nuovi versamenti, e c’è chi sospetta che la ricchezza dei terroisti islamici sia addirittura in crescita. E allora perché è così difficile intercettare i finanziamenti che alimentano la rete del terrore? Come fanno i seguaci di Bin Laden ad aggirare i controlli?
Gli esperti occidentali hanno individuato quattro filoni principali.
1) I finanziamenti sauditi. Fino al 2003 le organizzazioni caritatevoli di Riad hanno trasferito alle comunità islamiche nel mondo un’enorme quantità di denaro, decine di miliardi di dollari. Aiuti ai bisognosi, certo, accompagnati da un intenso indottrinamento religioso wahabita, una delle correnti fondamentaliste sunnite. Ma anche generosi contributi al network del terrore. In quel 2003 gli Usa impongono al regime di Riad un cambiamento di rotta, dimostrando i legami tra alcuni enti e Al Qaida. La famiglia reale dapprima nicchia, poi è costretta a cedere. Cambia le regole e smantella grandi organizzazioni benefiche come la Wafa e, soprattutto, Al Haramain. Dal 2004 il flusso di finanziamenti illegali diminuisce, ma non si arresta del tutto. Troppe le connivenze religiose tra una parte importante della società saudita e Al Qaida; troppo reticente il governo di Riad nell’applicare tutte le misure richieste da Washington. Nel 2005 l’obolo islamico per la carità - la zakat - continua ad essere sfruttato per scopi diversi da quello orginario. E l’Arabia Saudita resta una delle fonti principali di finanziamento dei terroristi islamici.
2) Le rimesse degli immigrati. Tecnicamente si chiama Hawala ed è il sistema usato correntemente dagli immigrati per trasferire in patria i fondi guadagnati all’estero. Un sistema informale, basato sul rapporto fiduciario tra parenti o compaesani o membri tribali. Funziona così: io, immigrato in Italia, devo trasferire in Marocco mille euro. Anziché servirmi delle banche, vado da un hawaladar. Gli do i mille euro. Lui chiama un corrispondente in Marocco, presso il quale 24 ore dopo i miei parenti ritirano i mille euro. Il tutto senza documentazione scritta e senza trasferimento fisico di denaro: sono i due hawaladar - quello in Italia e quello in Marocco - a trovare forme di compensazione. Ogni anno dal nostro Paese vengono trasferiti ufficialmente due miliardi e 94 milioni di euro, ma secondo Donato Masciandaro - docente della Bocconi e autore di un importante studio sul tema - con l’hawala ne vengono trasferiti altrettanti. La domanda a cui nessuno può dare una risposta è: quanti di questi soldi finiscono ad Al Qaida?
3) Banche inefficienti e corrotte. Nei Paesi arabi (e in alcune piazze off-shore) molte banche non rispettano gli standard internazionali. E le truffe sono all’ordine del giorno. Come quella raccontata dall’ex agente della Cia Robert Baer. A Beirut nel 2002 due impiegati hanno fatto sparire miliardi di dollari. Come? Semplice. I due funzionari infedeli hanno trasferito all’estero i soldi, poi hanno distrutto l’hard disk del computer e il disco di back up. Risultato: nessuna traccia. Così probabilmente sono spariti i tre miliardi di dollari di Saddam che si sospetta siano transitati dalla Siria. Tre miliardi che ora alimentano i fondi dei terroristi in Irak.
4) Traffico di droga. Fino alla fine del 2001 Al Qaida non utilizzava i proventi delle coltivazioni di oppio in Afghanistan. Ma con la caduta del regime talebano la situazione è cambiata. Secondo l’Onu, oggi i seguaci di Bin Laden si avvalgono di questa fonte di finanziamento. Il fenomeno riguiarda anche il Marocco: la cellula che ha compiuto la strage di Madrid ha comprato l’esplosivo grazie alla vendita di partite di cannabis.
Quattro situazioni molto diverse, ma unite da un tratto comune: gli spostamenti di denaro avvengono sempre per vie informali, tramite corrieri. E in contante. Diffidare delle banche, niente fondi fiduciari, pochi investimenti se non in piccole attività commerciali come le macellerie, i call center, i negozi di abbigliamento e di artigianato: questo è il decalogo di Al Qaida, che si differenzia nettamente dalla mafia o da altre organizzazioni internazionali. «Nel riciclaggio tradizionale i soldi nascono “sporchi” e arrivano puliti - spiega al Giornale Donato Masciandaro -. Con i terroristi islamici la fonte spesso è pulita, come il versamento a un ente di beneficenza, ma l’approdo sporco, perché quei soldi possono essere usati per il terrorismo». E ancora: «Chi ricicla mira a ottenere un profitto, i terroristi non sono mossi da motivazioni economiche. Un killer della ’ndrangheta costa molto, un kamikaze no: non chiede soldi, bensì il martirio, la gloria, le 72 vergini in Paradiso». È l’ultimo paradosso: in fondo Al Qaida non ha nemmeno bisogno di quei 5 miliardi, gliene bastano molti di meno.
marcello.

foa@ilgiornale.it

Commenti