Dimenticati nei container

Una quindicina di famiglie attendono che il Comune mantenga le promesse E intanto poco distante...

Giuseppe Taccini

Dura la vita nei container. Nei mesi freddi all’addiaccio, d’estate sotto il sole cocente. Provate a chiederlo alla quindicina di famiglie - alcune italiane, altre extracomunitarie, per la maggior parte provenienti dall’Africa - che ormai da più di un anno vivono a Tor Marancia in quei contenitori che di un’abitazione hanno ben poco e vedrete cosa vi risponderanno. Ma per farsi un’idea basta passare dalle parti di via Odescalchi, appena dietro piazza dei Navigatori, e subito ci si rende conto delle condizioni disagiate in cui sono costretti a sopravvivere questi nuclei familiari, minori compresi. Tra l’altro le famiglie, a cui è inibita, visto il rigore del custode del campo, ogni tipo di visita esterna, si sentono quasi «prigioniere». Eppure, il loro destino non sembrava così ingrato. È vero che nel gennaio 2005 furono sgomberate da uno stabile di via Lima di proprietà di Stefano Ricucci. Però il Campidoglio promise loro di occuparsi della questione e di assegnare presto degli alloggi dove vivere. Parole a cui evidentemente non sono seguiti i fatti: a un anno e mezzo di distanza la soluzione provvisoria dei container appare come quella definitiva. È per questo che l’avvocato Maria Scuncia, che da tempo assiste le famiglie nella ricerca di un’abitazione dignitosa, è passata dalle parole ai fatti, diffidando, con una lettera formale, sia l’amministrazione capitolina che la prefettura dal porre rimedio alla vicenda. «Chiedo alle autorità in questione di intervenire tempestivamente e porre in essere tutte quelle azioni necessarie per trovare una sistemazione alloggiativa a chi vive nei trenta container di via Odescalchi», precisa la legale. Altrimenti, ammonisce la Scuncia, verranno presi «i provvedimenti che si riterranno opportuni nelle competenti sedi». Tradotto, significa che verrà fatto un ricorso basato sull’esistenza di condizioni nocive per la salute e di conseguenza si chiederà lo spostamento delle famiglie in alloggi idonei. «Molti dei miei clienti - ricorda l’avvocato - avrebbero anche i requisiti per ottenere quasi immediatamente l’assegnazione di un alloggio di edilizia popolare. Quindi, non stiamo chiedendo la luna, ma semplicemente di applicare le regole». Una soluzione ci sarebbe, se solo ci fosse la volontà di venire incontro a questi nuclei familiari, costretti a convivere ogni giorno con emergenze ambientali, igieniche e sanitarie. E non si tratta di trasferire le persone dall’altra parte della città, ma più semplicemente di far fare loro appena qualche metro. «Dietro il campo dove sono ubicati i container c’è uno stabile, dove un tempo c’era il collegio San Michele, nel quale sono stati costruiti piccoli appartamenti destinati a persone anziane, ma a tutt’oggi disabitati e inutilizzati - sottolinea l’avvocato Scuncia -. Visto che l’amministrazione capitolina fino a oggi non ha provveduto a dare una sistemazione alloggiativa a queste persone, relegandole ai margini della società, potrebbe, almeno temporaneamente assegnargli questa struttura. Servirebbe quantomeno a dare loro un’esistenza più dignitosa».

Il tempo, insomma, stringe. E considerato il prevedibile arrivo della calura estiva non sembra proprio il caso di far «arrostire» le famiglie dentro i container, dopo aver fatto loro assaporare le rigide temperature invernali.

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