Diritti tv, è pace fatta Il bisogno di soldi convince grandi e piccole

Dopo anni di litigi, c’è intesa fra le squadre per la spartizione. In ballo 200 milioni. Decisiva la mediazione di Galliani

Diritti tv, è pace fatta 
Il bisogno di soldi  
convince grandi e piccole

Se non è il grande accordo di Milano, manca pochissimo. Perché dopo mesi di litigi pubblici e privati, perfino di qualche scazzottata al ristorante (tra De Laurentiis e Lotito) evitata per un pelo, di ricorsi in tribunale e di controricorsi, ecco la buona novella proveniente dall'ennesima assemblea di serie A, ieri a Milano. Per tre volte, su tre argomenti decisivi (fatture da scontare in banca, soldi insomma, tanti soldi per piccole, medie e grandi club), le 20 società hanno votato insieme sottoscrivendo un’intesa che ha riportato il calcio fuori dalla tempesta e dal rischio, clamoroso, di una vera paralisi. «Col buon senso e col mestiere ce l'abbiamo fatta. Non siamo ancora alla definizione di ogni accordo, ma abbiamo fatto giganteschi passi avanti» il soddisfatto commento di Adriano Galliani, uno dei decisivi artefici della svolta. La sua mediazione, e un paio di proposte operative raccolte al volo dai presidenti, hanno consentito a tutti i club di poter riscuotere le fatture dei diritti tv della stagione già chiusa il 30 giugno e di accedere al credito per il prossimo anno. Vuol dire denaro fresco che entra nelle casse. Non solo. Ma è passata, con la stessa votazione unanime, anche la delibera sulle linee guida per la cessione dei diritti tv del prossimo triennio (2012-2015) che di fatto costituiva un pericolo mortale per il calcio italiano. Senza il consenso di Inter, Juve e Milan, quei diritti sarebbero rimasti fermi in un cantuccio e il loro valore commerciale sarebbe precipitato. Così anche Lotito, uno dei più fieri oppositori all'accordo, ha colto il senso della tregua: continuare a imporre una stravagante formula per calcolare l'auditel e riscuotere così parte dei 200 milioni di euro rimasti da dividere, sarebbe stato un guadagno apparente.

«Unito alla concessione del secondo extra-comunitario, questo voto, anche se non si può definire accordo, ha segnato il ritorno all'unità della serie A» il resoconto di Beretta che non ha molti meriti da esibire nella circostanza. Ha fatto come al solito da notaio della volontà dell'assemblea che a un certo punto ha virato, meritoriamente, verso l'intesa evitando la scissione in due blocchi, da una parte le tre grandi, storiche del calcio italiano, tutti gli altri dall'altra parte a reclamare pezzi in più della grande torta dei diritti tv.

Da segnalare che neanche le polemiche feroci intorno allo scudetto del 2006 da revocare sono riuscite a contaminare in modo negativo il clima assembleare. Eppure sull'argomento, c'è già stato un inatteso schieramento da parte di Massimo Cellino, presidente del Cagliari e consigliere federale, incaricato perciò di votare sulla delicatissima questione. «Per me lo scudetto deve restare all'Inter» ha sostenuto Cellino senza spiegarne i motivi giuridici e di merito. «Questo argomento non è entrato in assemblea» la segnalazione dello stesso Beretta, preoccupato che la questione potesse influire. «Sullo scudetto 2006 non possiamo decidere ciascuno per proprio conto, dobbiamo seguire la linea che sarà presentata dal presidente Abete» la correzione dello stesso Beretta che ha così rimesso la sua organizzazione sulla giusta rotta. A questo punto, non resterà che designare il prossimo presidente della Lega per cementare definitivamente l'unità riconquistata. La governance del calcio più importante infatti è il prossimo nodo da sciogliere: Rossella Sensi si è dimessa da vice-presidente, Beretta ha cambiato mestiere ed è passato a Unicredit.

«Bisognerà trovare un candidato condiviso» la chiosa di Galliani che un tempo, da presidente, era capace di pilotare assemblee ancora più infuocate. Ora che i poteri del presidente e del consiglio di Lega son passati all'assemblea, non c'è via di scampo: o si trova un accordo collettivo o si finisce contro gli scogli.

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