«Dismissioni per tagliare il debito»

«Non stiamo tralasciando nulla, anche eventuali dismissioni del patrimonio pubblico per abbattere il debito». Così il viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli, apre ufficialmente il capitolo dismissioni: e lo fa da Washington, dove si è chiuso il G20 che ha sancito l’uscita dell’Italia dallo stato di sorvegliata speciale del Fmi. «La fase acuta della crisi è stata superata», ricorda Grilli, ma occorre «evitare la sensazione che abbiamo fatto l’aggiustamento fiscale ma non c’è crescita, e che dunque abbiamo sbagliato». D’altronde, non ci può essere crescita senza risanamento: Grilli ha quindi sottolineato come la riduzione della spesa pubblica è in questo momento la priorità del governo.
«Gli effetti delle misure di risanamento e le tensioni sui mercati finanziari del credito daranno probabilmente un Pil negativo nella prima metà di quest’anno. Ma ci sono segnali di miglioramento che suggeriscono una moderata ripresa a partire dal terzo trimestre», ha concluso. E sul piano internazionale, «siamo convinti che la crisi del debito in Europa sarà risolta con successo nel 2012 e che la ripresa tornerà nella seconda metà dell’anno», ha detto ancora Grilli, intervenendo alla riunione dell’Imfc, l’organismo dell’Fmi che rappresenta i Paesi più avanzati. Il quale non a caso, nel comunicato finale, afferma che «in molte economie avanzate è necessario agire per raggiungere il risanamento di bilancio e la riduzione del debito, evitando politiche» che penalizzino troppo la crescita. E da Washington arriva anche l’appello del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, alle aziende italiane affinché aumentino la produttività e, quindi, la competitività. Nel Paese, «il problema non è l’assenza di credito», dice, piuttosto quello della domanda. Le condizioni del credito «si stanno normalizzando, stanno migliorando», ha aggiunto, sottolineando come il capitale delle banche italiane sia «suffciente» e come gli istituti saranno in grado di rispettare all’inizio del prossimo anni i requisiti di Basilea 3.
Non ha di che rallegrarsi troppo, invece, il Tesoro: il calo della Borsa, la recessione, ma anche la Robin tax, pesano sulle cedole che incassa dalle società partecipate quotate e non, il cui assegno cala quest’anno a circa 1,2 miliardi, escludendo le aziende non in Borsa, tra cui Poste Italiane, società che nel 2011 aveva garantito mezzo miliardo di euro. Inoltre, molte delle risorse arrivano alla Cdp (controllata al 70% dal Tesoro) cui, dopo lo swap con Via Venti Settembre di fine 2010, fanno capo le quote in Eni e Terna.
La Cassa al ministero riversa 260 milioni di dividendi, ma circa 1,2 miliardi viene messo a riserva per i progetti di sostegno alle imprese, dal plafond per le Pmi al Fondo Strategico. La parte più consistente che arriva direttamente al Tesoro viene da Enel: dalla partecipazione del 31,24% della società elettrica sono giunti 763 milioni sotto forma di dividendo, in calo dagli 822 del 2010, anche a causa della Robin tax.

Soddisfazioni, invece, da Eni, dove il Tesoro mantiene il 3,93% che assicura comunque una cedola di 163 milioni. A secco invece un altro dei gioielli di Stato: Finmeccanica. La società, colpita dalla crisi e nella bufera giudiziaria, ha archiviato il 2011 con un rosso di 2,3 miliardi.

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