Disse: «Gli Usa saranno un esempio per tutti» Fu travolto dalla prima grave crisi economica

Martin Van Buren è stato il primo presidente veramente americano. Possibile? Possibile. Nella storia e nella memoria degli Usa, è il primo nato negli Stati Uniti. Tutti i suoi predecessori, infatti, erano nati quando le colonie erano ancora sotto il controllo inglese. Lui no: nel 1782, anno della sua nascita, gli Stati Uniti esistevano già.
Il paradosso, però, è che il primo presidente veramente americano è stato anche l'unico della storia a non avere l'inglese come lingua madre. Veniva da una famiglia olandese e quindi la sua lingua era quella delle origini. L'inglese arrivò a scuola, imparato da straniero in patria. Strana storia, questa. Meno strano, invece, fu il suo percorso. Come il suo predecessore (e mentore) Andrew Jackson anche lui era un uomo del popolo: il padre gestiva una locanda ad Albany, nello Stato di New York. E quella locanda fu (come la casa per Jackson) la sua prima scuola: a insegnargli i primi elementi di diritto erano gli avvocati avventori del locale del padre. Martin si avvicinò alla giurisprudenza, allo studio e contemporaneamente alla politica. Eletto senatore nel 1821, diventò vicepresidente di Jackson nel 1833.
A differenza del suo mentore, Van Buren era tutt'altro che statalista. La sua teoria era diametralmente opposta: interpretava il mandato presidenziale come una forma di garanzia del Paese e poco più, ritenendo che il miglior governo possibile fosse quello che intervenisse meno nella vita dei cittadini.
Ma le cose per le quali merita di essere ricordato Van Buren sono altre: dai suoi contemporanei era conosciuto come il presidente piccolo. Era basso e per nulla slanciato. Indipendentemente dall'eleganza (che molti comunque non gli riconoscevano) era considerato goffo e non di bell'aspetto.
Detto questo, forse la sua statura politica è stata diversa. A cominciare dal discorso di insediamento nel quale disse che gli Stati Uniti d'America, la loro nascita e la forma di governo che si erano dati erano un esperimento che avrebbe potuto e dovuto essere imitato nel mondo. Un esempio, disse. Altro non era se non l'indicazione di quella che poi (nel Novecento) sarà la teoria del Secolo americano. La strada che l'America avrebbe indicato a una parte del mondo: democrazia, capitalismo, ricerca della felicità e della libertà individuale. A minare le sue convinzioni (che però poi torneranno nella cultura politica Usa) arrivò la crisi del 1837, forse il primo vero caso di crisi economico-finanziario-politica della storia. Passato alla storia come il «panico del '37», fu un momento di grave difficoltà per l'intera struttura economico-politica degli Stati Uniti. Fu una clamorosa bolla speculativa che poi scatenò una depressione con relativa corsa agli sportelli per ritirare i propri denari. Fallirono decine di banche, l'America crollò nello sconforto totale.

Per provare a tirare su la situazione, Van Buren forzò la sua stessa natura politica: lui, il teorico del meno Stato possibile («il governo che governa meglio è quello che governa meno», diceva) iniettò di liquidità le banche per evitare che fallissero in troppe. La crisi lo penalizzò nel tentativo di essere rieletto e così fu un «one term» president.

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