Lo diceva anche il venerando Carl Schmitt, il filosofo (non certo perché passava di lì per caso) del Terzo Reich: «Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione». Tradotto per i nostri tempi: tieni ben salde tra le mani le redini dell’emergenza continua e ne ricaverai potere e sempre più potere. L’attuale presidente del Venezuela Hugo Chávez deve aver imparato a puntino la lezione: a seguito delle inondazioni che nelle ultime settimane hanno devastato il Paese (e che hanno causato 34 morti e almeno 140mila senzatetto) ha chiesto 12 mesi di «poteri speciali», giusto per aver mano libera da lacci e lacciuoli burocratici nell’organizzazione dei soccorsi e dell’assistenza. L’altro ieri il Parlamento gliene ha concessi ben 18, su proposta del presidente Cilia Flores.
Così, per il prossimo anno e mezzo il caudillo sudamericano potrà governare a suon di decreti, spaziando in settori dello Stato che magari con l’«emergenza maltempo» hanno poco a che fare, e che vanno dalla sicurezza alle tasse, dai servizi pubblici alle infrastrutture. A esser cinici, si potrebbe commentare: non tutte le inondazioni vengono per nuocere. La proposta di legge per i superpoteri, infatti, è arrivata al Parlamento uscente il 14 dicembre scorso. Dettaglio non da poco: dal 5 gennaio prossimo, a seguito delle elezioni di settembre, il peso dell’opposizione all’interno dell’Asamblea Nacional aumenterà notevolmente a danno di Chávez. Cosa c’è di meglio, allora, che mettersi in tasca oggi qualche «potere speciale» in più, in vista di un futuro politico piuttosto incerto? «Si tratta di una misura dittatoriale» ha fatto sapere l’opposizione.
I decreti «quasi pronti» in mano a Chávez sono già venti e con l’approvazione della «ley habilitante» dovrebbero diventare operativi nell’immediato. Il presidente ha fatto sapere che riguarderanno innanzitutto la domanda di alloggi da parte dei cittadini danneggiati dalle forti piogge. Di fatto, molte delle case costruite sulle colline «povere» di Caracas sono state spazzate via dalle frane causate dal maltempo, migliaia di persone si sono rifugiate in scuole, università e caserme, e persino negli alberghi per turisti, terrorizzate dal ricordo delle inondazioni del 1999 in cui morirono 30mila persone. La strada che collega la capitale all’aeroporto è rimasta per giorni completamente invasa da fango e detriti, come molte altre degli stati costieri di Falcon, Miranda e Vargas.
Ma persino in tutto questo, i poteri speciali chiesti e ricevuti da Chávez sono sembrati a molti un po' esagerati, anche perché coadiuvati da leggi, approvate o in discussione negli ultimi giorni, che portano alla luce la strategia del Presidente per modellare un Venezuela a sua immagine e somiglianza, vale a dire per affrontare meglio la propria perdita di popolarità e potere. Per esempio, la «legge sulle istituzioni del settore bancario», che assegna il carattere di «pubblica utilità» all’intero servizio creditizio, consentendo «all’ente regolatore un maggior raggio di azione» per intervenire a difesa del consumatore. In teoria, questa legge dovrebbe mettere ordine, come scrivono i proponenti, in un quadro normativo troppo «flessibile» che negli ultimi anni ha costretto lo Stato a intervenire in alcune situazione bancarie difficili. Altro esempio, la legge sulle telecomunicazioni, un settore che da «interesse generale» diventa di «servizio pubblico». In altre parole, radio e tivù in chiaro saranno concessioni statali, fatta salva la possibilità di riassegnazione a terzi: sotto mentite spoglie, si tratta di un ostacolo, se non proprio di un divieto, per tutti coloro che vorranno attivare sinergie tra mass media, creando pericolose (quanto ingestibili per Chávez) concentrazioni di potere mediatico. A qualcuno, la legge ha ricordato l’Unione Sovietica.
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