Cultura e Spettacoli

"Dittatura e razzismo? Io penso solo a scrivere"

L'autore haitiano Dany Laferrière stasera a Massenzio: "Sono andato in esilio a vent'anni. Ma Baby Doc non doveva dominare la mia vita"

"Dittatura e razzismo? Io penso solo a scrivere"

Dany Laferrière ha una vaga somiglianza con Sidney Poitier, l'attore afro-americano che per primo ha raggiunto nell'ovattato mondo di Hollywood il ruolo di icona dell'integrazione razziale. Non solo. Stessa eleganza e gentilezza dei modi. E una voce altrettanto profonda. Nato a Port-au-Prince nel 1953, quello che è a tutt'oggi il più importante scrittore haitiano vivente, è da tempo cittadino canadese e il mondo francofono lo ha già innalzato ai ranghi dei grandi accademici. Laferrière è in Italia in questi giorni per partecipare a una serie di manifestazioni (questa sera a Roma per Letterature , poi a Firenze lunedì prossimo e il 23 a Salerno). E si porta dietro un bagaglio non proprio leggero: due fresche traduzioni dei suoi ultimi titoli, Tutto si muove intorno a me (pubblicato da 66thand2nd, pagg. 134, euro 16) e Paese senza cappello (Nottetempo, pagg. 272, euro 16,50). Il primo è un lucido ma appassionato resoconto del terribile terremoto che ha sconvolto per sempre la bella isola caraibica nel gennaio del 2010 provocando la morte di oltre 200mila persone. Il secondo è una sorta di tributo in forma narrativa alla famiglia stessa dell'autore. Un gesto di riconoscenza verso il proprio mondo, prevalentemente popolato da originali figure femminili, che ha fornito un frizzante strato di immaginazione alla creatività dello scrittore (divenuto da pochi anni accademico di Francia).

Del resto quest'anno il tema di Massenzio Letterature è #Memorie e chi meglio di Lafferière può accogliere questa sfida?

Lei è riuscito rocambolescamente a fuggire dal suo Paese nel 1976 ai tempi della dittatura di Baby Doc. Quanto è stato importante quel momento nella sua formazione di scrittore?

«Sicuramente sono stato più fortunato di tanti. Sono emigrato in Canada che ero poco più che ventenne. L'esilio per un giovane è pur sempre una possibilità. Da allora ho capito che dovevo mettere in atto una sorta di strategia. La dittatura, anzi il dittatore, non doveva essere l'elemento principale della mia vita. La mia sfida è stato annullare proprio quell'oltraggio con la scrittura».

In molti associano il suo lavoro di scrittore al suo impegno politico. Si sente un intellettuale militante?

«Assolutamente no. Non so nemmeno cosa voglia dire letteratura militante».

Non si chiede mai, dunque, a cosa serve la letteratura, come Sartre, a esempio?

«La letteratura? Se è buona letteratura riesce a guadagnare lettori. A me questo preme. Come pure rimediare a una ingiustizia diffusa».

Quale?

«Solitamente nei romanzi compaiono sempre gli stessi personaggi. Ci ha mai fatto caso?»

Noi abbiamo un'espressione molto colorita a tal proposito: «letteratura da tinello».

«Voglio popolare i miei romanzi di tutti quei personaggi che solitamente non leggono libri. Tra l'altro nella speranza che prima o poi qualcuno di loro lo faccia e ci si ritrovi».

Qual è stato il momento in cui lei stesso è divenuto un lettore consapevole?

«Lo sono diventato quando ho scoperto l'alfabeto».

Non parlavo della sua scolarizzazione.

«Lo so. Ma io intendevo proprio l'alfabeto con la sua magia. In fin dei conti si tratta di una ventina o poco più di segni grafici (tra l'altro bellissimi) che riescono nelle loro infinite combinazioni a riassumere la storia dell'umanità e a trattenerne la memoria».

E quando ha pensato di diventare scrittore?

«Non c'è bisogno di desiderarlo. Basta scrivere. In fondo sono diventato scrittore solo quando mi sono accorto di aver lasciato alle mie spalle migliaia di pagine scritte. Tutto qui».

L'unico autore che cita nel corso della nostra chiacchierata è Virginia Woolf e lo fa parlando del razzismo...

«La discriminazione razziale? Non è un mio problema. D'altronde non posso essere la malattia e a un tempo il medico che la cura. Cerco solo il mio spazio; una camera tutta per me dove scrivere.

Nient'altro».

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