Quando Novak Djokovic vinse per la prima volta gli Australian Open - era il 2008 - ci chiedevamo perché da noi non potesse nascere un tennista così. Adesso che l'ha rivinto un'altra volta ed è pure diventato a Madrid il primo non-Federer a battere Nadal sulla terra rossa, la domanda non ha più un senso: perché un numero uno così noi non ce l'avremo.
Novak infatti nell'anno 2011 ha raggiunto la perfezione: 32 vittorie su 32 match finora disputati e la possibilità, proprio nel torneo del Foro Italico, di raggiungere la testa della classifica mondiale, se dovesse vincere anche questo (il settimo della stagione) e se Nadal dovesse inciampare prima della semifinale. E il tutto, proprio qui da noi, senza pizza e pasta, alimenti ormai banditi dalla tavola di Nole, i veri avversari con cui ha dovuto combattere senza saperlo. Perché Djokovic era celiaco e per questo mancava sempre l'ultimo passo per la gloria.
La scoperta è stata fatta qualche mese fa, Djokovic voleva sapere cosa avrebbe fatto da grande e soprattutto il motivo di alcuni momenti di inspiegabile calo che gli avevano quasi sempre negato la vera gloria. Così poi si è affidato ai consigli di un dietologo, ha rimesso la testa a posto ed è ripartito. E adesso minaccia appunto di vincere anche Roma, per la delizia di chi apprezza il suo stile tennistico e il suo disincantato modo di vivere il successo: «So cosa vuol dire non avere niente e vivere in un Paese in guerra - ha detto in un'intervista a Sky -. Per questo le vittorie non possono cambiare il mio modo di essere». Applausi.
E noi? Noi, cioè l'Italia, ci ritroviamo finalmente un torneo combined, ovvero con uomini e donne insieme, in un'impianto che organizzativamente parlando cresce di anno in anno. Siamo già arrivati alla terza giornata e sul campo dobbiamo come sempre puntare sulle donne - con la Schiavone, ieri vincente, alla ricerca della forma perduta in vista della difesa del titolo al Roland Garros - perché gli uomini, se non ci fossero stati gli inviti, non sarebbero neppure entrati in tabellone e questa (purtroppo) non è più notizia.
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