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Djokovic, l’umile ex clown nell’olimpo del tennis

Agli internazionali di Roma ha battuto Nadal, ora è pronto a togliergli il n° 1. "Il mio segreto? Ho copiato Becker, Agassi e il mito Sampras". Imbattuto nel 2011 con numeri da brivido: 37 vittorie consecutive (più 2 del 2010), sette tornei su sette. Il primo giocatore della storia a vincere gli Australian Open e tutti i quattro Master che gli sono seguiti

Djokovic, l’umile ex clown nell’olimpo del tennis

Tempo fa i ricercatori di un'università tedesca si misero a studiare dei tennisti durante le partite: il risultato fu una teoria per cui il cervello umano non «pensa» durante l’esecuzione di un colpo, ma agisce istintivamente. Seguendo questa tesi dunque, gente come Federer (prima di tutti), Nadal (fino a un paio di settimane fa) e Djokovic (adesso) in realtà non sanno quello che fanno (e figuriamoci gli altri). Colpiscono e basta. Per fortuna però il tennis non lo giocano dei ricercatori universitari, per di più tedeschi, e dunque ecco che forse ci vuole altro per spiegare il senso dell’invincibile applicato alle racchette. Lo era appunto un tempo Roger, lo è stato Rafa sulla terra rossa e adesso tocca a Novak, imbattuto nel 2011 con numeri da brivido: 37 vittorie consecutive (più 2 del 2010), sette tornei su sette e soprattutto il primo giocatore della storia a vincere gli Australian Open e tutti i quattro Master che gli sono seguiti. Con un unico segno distintivo: Djokovic è lo stesso che solo un anno fa partite come quella in semifinale con Murray - invece vinta 7-6 al terzo - le perdeva senza quasi lottare. Era insomma il terzo incomodo nella sfida Nadal-Federer, ed era sempre al terzo posto.

Ora però molto è cambiato: certo, Nole ha stravolto la sua alimentazione, è dimagrito e ha pure scelto una nuova racchetta. Eppure tutto questo non basta, se è vero che il prossimo numero uno del tennis - non lo è ancora per la classifica, ma Nadal ormai è a un passo - ha abbandonato una parte di quella vita che lo aveva reso quasi più famoso: le imitazione dei colleghi, i ruoli da attore in una fiction, il desiderio di fondare una rock band. Oggi Novak Djokovic guarda solo la pallina e la odia, così come insegnano gli allenatori veri. I quali insegnano anche che per vincere servono tre cose: forma fisica, gesto atletico e «sistema di elaborazione», leggasi testa. Ed è questo che è veramente successo: Djokovic in questo momento le ha tutte e tre.

Così ecco che solo un anno fa Novak diceva che poteva battere chiunque, «ma solo se riesco a stare calmo e concentrato su me stesso. Peccato che non siamo supereroi, e non sempre riusciamo a fermare i pensieri». Ora che un po’ supereroe è diventato - così come ormai è stato battezzato dai giornali della sua Serbia -, fa invece programmi («Il numero 1? So che ormai arriverà, è solo questione di tempo. E il mio sogno è vincere Wimbledon»), mentre Rafa Nadal, dopo la seconda sconfitta consecutiva in finale (che Sky annuncia di essere stata vista da un pubblico in tv di 367.660 spettatori medi, record per i canali sport), ammette: «Fino a Roma ero il numero uno sulla terra...».

Insomma: il tennis insegna che, come nella vita d’altronde, sentirsi invincibile è molto più facile di quanto si pensi. Ci vuole prima di tutto un po’ di umiltà - così come ha ribadito Novak dopo il trionfo («Sono felicissimo per aver battuto due volte Nadal in 8 giorni, perché per me lui resta il più forte tennista sulla terra di sempre: non ha vinto un paio di tornei, ha dominato la stagione sui campi in terra rossa per cinque anni») - e ci vogliono idee chiare. Queste, ad esempio: «Per il successo serve fortuna, ma il risultato di solito arriva grazie al lavoro: crescere richiede tempo e anche i periodi di crisi vanno sfruttati per fare esperienza. Io ad esempio ho cercato di “rubare” i colpi migliori dei migliori giocatori: ho preso qualcosa da Ivanisevic, qualcosa da Becker, qualcosa da Agassi e naturalmente qualcosa da Sampras, che è sempre stato il mio idolo». Poi ci ha messo un po’ di cervello e ce l’ha fatta: è entrato nell’università del tennis mondiale.

Alla faccia dei ricercatori tedeschi.

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