nostro inviato
a Lavagno (Verona)
Il «campione dei sognatori concreti», così l'ha definito Silvio Berlusconi, ce l'ha fatta. Da vent'anni don Luigi Verzè tenta di aprire un complesso sanitario presso Verona, nella val d'Illasi, la zona dov'è nato e dove ha conosciuto san Giovanni Calabria, il prete che gli cambiò la vita. Ma ha sempre trovato un fuoco di sbarramento. Finora si è dovuto accontentare di sei ambulatori dove specialisti del San Raffaele (e anche medici di base locali) assistono gratis i pazienti. Don Verzè diceva che ci metteva i soldi per la costruzione e anche per le nuove strade, che non voleva fare concorrenza agli ospedali pubblici dato che il suo centro sarebbe stato una novità assoluta. Un centro di fanta-medicina dove i pazienti porteranno un microchip sottocutaneo che registrerà ogni variazione dei parametri corporei (pressione, battito cardiaco, temperatura, metabolismo) in modo da intervenire in caso di alterazione. «La nostra previsione - assicura Sua Sanità a 120 anni».
Nell'area di circa mezzo chilometro quadrato saranno costruite 15 palazzine che occuperanno solo il 7 per cento del terreno, un eliporto, quattro campi di tennis e tre di calcio per una spesa di 150 milioni di euro in dieci anni. Non sarà un ospedale tradizionale, niente sale operatorie né posti letto ma un «centro del ben-essere»: scritto così, con il trattino. E non sarà neppure una beauty farm nonostante i centri sportivi e riabilitativi, l'accoglienza per i familiari, biblioteche e «laboratori psico-filosofico-ascetico-teologici per promuovere l'uomo-persona, nel rispetto dell'ambiente-paesaggio». Il «Quo Vadis» sarà un centro biotecnologico dove gli specialisti seguiranno i pazienti dalla nascita alla vecchiaia, anticipando le malattie. «La medicina ha cominciato con la cura delle malattie, poi è passata alla prevenzione - ha spiegato don Verzè -. Oggi passiamo alla medicina predittiva perché la genomica e le neuroscienze consentono di prevedere che cosa succederà nella crescita dell'organismo. La nostra sarà la città del benessere, il più bello e avanzato San Raffaele del mondo perché non farà cure ma garantirà la qualità della vita». I pazienti porteranno un bracciale speciale, e in futuro avranno impiantato un microchip sotto la pelle, che consentirà un controllo a distanza 24 ore su 24 ovunque vadano (da qui il nome «Quo vadis») grazie a una rete di rilevatori simile a quella dei telefonini. «Al Quo Vadis ci saranno più macchinari che medici, più aree del ben-essere che reparti - dice don Verzè - e gli ospedali esistenti non hanno ragioni di avere timori».
Sul Colle San Giacomo, dove ieri è stata benedetta la prima pietra del nuovo ospedale, fu benedetta 13 anni fa una gigantesca croce ancora visibile. Il fondatore del San Raffaele aveva già chiaro dove sarebbe arrivato. Ignorava però quando. Il terreno del «Quo Vadis» è suo, vi coltiva amarone e valpolicella che hanno meritato il premio speciale della giuria all'Oscar dei vini 2004. Campi sottoposti a vincolo paesaggistico per i quali la Regione Veneto ha concesso tre anni fa la trasformazione in superficie adatta alla realizzazione di strutture pubbliche. Don Verzè ha chiamato architetti famosi per inserire la struttura nel contesto ambientale. Ma ambientalisti e sindaci gli hanno fatto una lotta senza quartiere: i primi non potevano rinunciare al verde, gli amministratori non tolleravano la nascita di una clinica modernissima mentre a 15 chilometri si costruiva il nuovo ospedale di San Bonifacio e se ne chiudevano altri due.
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