Doping, trionfa la giustizia Coni Il Tas: «Valverde va squalificato»

di Cristiano Gatti

Forse nessuno ancora lo sa, ma questa è una grande giornata per chi ama lo sport, per chi ama la giustizia e per chi ama l’Italia. Provo a essere esplicito: il Tas di Losanna, più o meno la Cassazione dello sport mondiale, ha solennemente stabilito, una volta per tutte, al di sopra di ogni ragionevole dubbio e al di là di ogni arrampicata sugli specchi, che l’inchiesta italiana del Coni contro Alejandro Valverde è validissima. Di più: è fatta benissimo e la conseguente squalifica del ciclista spagnolo (due anni, fino al maggio 2011) è a dir poco sacrosanta. Praticamente, una medaglia d’oro ai nostri pm.
Ora, capisco io per primo che il pubblico medio faticherà ad apprezzare compiutamente l’evento, stante la nube tossica di inchieste, sentenze, eccezioni e ricorsi seguita alla mitologica inchiesta antidoping denominata «Operacion Puerto». Però questo caso Valverde è davvero molto importante. Costui, nonostante la giustizia italiana sia riuscita con un’abilissima inchiesta a proclamarlo ufficialmente dopato, continua da anni a correre e a vincere. Tutto questo anche se fu uno dei clienti più fedeli e più assidui del famigerato Eufemiano Fuentes, il ginecologo prestato allo sport, abilissimo nel manipolare il sangue degli atleti.
Purtroppo, così vanno le cose. Ad un certo punto, si è pure pensato che la giustizia ancora una volta finisse beffata e derisa, con il trionfo cosmico della furbizia spagnola. Quanta rabbia, quanto sordo furore in questa storia: mezza Europa squalifica i suoi migliori campioni, Basso e Ullrich primi fra tutti, mentre la Spagna che ha ospitato il tremendo traffico ematico bellamente sorvola. Non apre mai un’inchiesta sui propri atleti coinvolti. Insabbia tutto aggrappandosi ai cavilli.
Così, tocca a noi, per una volta, primeggiare nell’uso del cervello. Quando Valverde sconfina di cinquanta chilometri in territorio italiano durante il Tour 2008, a Pratonevoso, i segugi del Coni gli fanno un prelievo di sangue e lo confrontano con quello di una sacca incriminata, la numero 18, intestata al fantomatico Valv-Piti (sai che fantomatico: Valv non può essere l’inizio di Zandegù, Piti casualmente è il cane di Valverde). E comunque: l’esame del Dna, per la prima volta nella storia dell’antidoping, consente di dimostrare che il sangue taroccato dell’Operacion Puerto è proprio quello di Valverde. Da qui, la squalifica di due anni inflitta dalla nostra giustizia allo spagnolo.
Peccato soltanto che la giustizia, quella volta, si fermi alla frontiera di Como Brogeda: L’Uci, la federazione mondiale del ciclismo, non se la sente di estenderla agli altri Paesi. Ritiene che sull’inchiesta italiana debba prima pronunciarsi il Tas, il Tribunale arbitrale sportivo. Lo stesso Valverde vi fa ricorso: sostiene, per bocca dei suoi costosissimi avvocati, che il Coni non avesse il diritto di aprire quell’inchiesta. Classica questione da azzeccagarbugli. Per fortuna, adesso il Tas sgombra il campo dalla catasta di chiacchiere: l’inchiesta italiana viene definita legittima e perfetta. Promozione con lode.
Ora manca solo l’ultimo tassello: il via libera all’Uci per proclamare dopato Valverde a livello mondiale, squalificandolo per due anni da tutte le corse del pianeta. Questo nuovo pronunciamento del Tas è questione di ore. Non serve molto: basta che agisca di conseguenza, permettendo all’Uci di estendere la sentenza italiana su scala universale.


Nel frattempo, gli indefessi avvocati di Valverde hanno comunque già annunciato il nuovo ricorso, stavolta presso il Tribunale federale svizzero: sostengono che nel Tas c’è un giudice troppo di parte. Diritto sacrosanto. Può ricorrere quanto vuole, Valverde. L’importante è che non possa più correre.

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