IL DRAMMA DELLA RAGAZZA DI BERGAMO

BrembateSettecento metri da casa, via Rampinelli, quindici minuti al massimo camminando a passo lento dal centro sportivo di Brembate. Alle ore 19,42 dice di averla vista l’ultimo testimone, il papà di una sua compagna di volteggi. Lei usciva dalla palestra. Nel frattempo l’sms dell’amica, (18.25), la risposta di Yara venti minuti dopo: «Ci vediamo domenica alle otto». Non ci arriverà mai. Da quel momento il buco nero. Le telefonate della mamma Maura che dal balcone di casa non la vede rientrare, prova a telefonare. Il cellulare squilla a vuoto, poi il macabro silenzio. Sono da poco trascorse le 19.
Chi ha incontrato, in questi minuti di vuoto, questa tredicenne che tentava di volare a passo di danza?Di chi si è fidata? È salita su quella macchina che l’ha portata a morire o ci è stata trascinata? Gli inquirenti cercano di mettere assime i tasselli del puzzle, vecchio e nuovo.
Riparte da qua l’indagine, dai passi mancanti in un paesotto come Brembate che si è trasformato in un labirinto di morte.
Proviamo a ripercorrere quella sera, procedendo per logica, per il resto con gli elementi indicati dalle indagini.
I carabinieri per settimane seguono il fiuto dei cani che portano a un cantiere di Mapello, qualche chilometro più in là; la polizia ripercorre la strada inversa, quella che condurrebbe la tredicenne verso casa.
Adesso, ora che c’è un cadavere che nessuno avrebbe mai voluto trovare, la verità arrivera proprio da quel corpo mummificato. Si tenta di ricostruire minuto per minuto la giornata di Yara. Mamma Maura, seduta accanto a poliziotti e carabinieri scava nella memoria, ricorda attimi, minuti, ore, momenti in cui erano presenti anche il marito, la cognata e la figlia maggiore Keba. L’ennesima riunione, prima con la speranza di ritrovare quella bimba con l’apparecchio ai denti, adesso con la rabbia, la volontà di trovare l’animale libero tra noi. La bestia che l’ha massacrata.
La mamma, ancora ieri, ha ripetuto per l’ennesima volta come siano andate le cose quel venerdì in cui scomparve la figlia: «Il giorno prima, giovedì la direttrice dei corsi di ginnastica ritmica aveva chiesto alle ragazze presenti se qualcuna fra loro avesse uno stereo portatile da mettere a disposizione per la gara in programma la domenica successiva. In quel momento era presente mia figlia maggiore Keba, che ha risposto: sì, noi lo abbiamo. Tornata a casa, ha riportato la richiesta dello stereo e per quel giorno la questione si era chiusa così, senza stabilire chi lo avrebbe effettivamente portato in palestra, né quando. Il giorno dopo, alle 13,45 circa, sono stata io a dire a Yara: “Se finisci i compiti in un orario ragionevole, puoi portarlo tu oggi”. Tutto qui: nessun litigio, nessuna insistenza, nessun mistero».
Eppure sulla strada della sua quotidiana normalità Yara ha incontrato il suo assassino, ammesso che di uno solo si tratti. Lei saluta le amiche, esce dalla palestra e qui incontra il carnefice. Un testimone, Enrico Tirone, dirà di averla vista parlare con un paio di persone, avevano una Citroen rossa ferma col motore acceso. Ha accettato fiduciosa un passaggio, o un invito a prendere un gelato Yara?
Chi l’ha uccisa, chissà forse vicino al cantiere di Mapello dove i fallimentari segugi hanno fiutato l’ultima traccia, probabilmente è uno della zona. Uno che conosceva la bambina. Le sue abitudini.
Questione di attimi il delitto, secondo gli investigatori. Resta da stabilire dove. Se nel campo zeppo d’erba cespugli di Chignolo o qualche chilometro prima. Yara in un pugno stringeva un pezzo d’erba e di terra. Forse respirava ancora mentre il killer la trascinava. E la prima domanda è questa: da dove è passato l’omicida per arrivare fino al campo incolto in fondo a via Bedeschi? Di certo è uno che conosceva la zona, che si è mosso sapendo di poterlo fare indisturbato.

Una cosa sembra certa: Yara è rimasta lì, prima «protetta» dalla neve, poi violata dalla pioggia e dagli animali per settimane.
Persino i tanti veggenti che per mesi hanno inondato giornali, tv e forze dell’ordine di telefonate, raccontando dei loro incubi, la vedevano così. Adesso manca solo il volto del mostro capace di tanto orrore.

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