S. Margherita Ligure Massimo Perotti, presidente dei Cantieri Sanlorenzo, da ieri pomeriggio è ufficialmente il presidente di Ucina-Confindustria Nautica. Stamani, nel corso di una conferenza stampa, illustrerà il programma del suo quadriennio.
Presidente, la crisi non si ferma. È ora che la politica cambi atteggiamento nei confronti del settore.
«Direi proprio di sì. Se la politica ci ascolta si può uscire finalmente dal tunnel. Che si torni alla parabola alta del 2007-2008 nessuno ce lo può dire oggi. Cerchiamo qualcosa di più normale. Nessuno pensa di tornare ai 6,2 miliardi, ma la realtà è che oggi ne facciamo appena 2,4. Limite che fa morire le aziende. La politica, che ci ha bastonato nel momento in cui eravamo più deboli, deve voltare pagina. Dopo il crollo del 2009, a fine del 2010 eravamo in recupero pur con un fatturato dimezzato, ma che ci consentiva di sopravvivere. Il vero disastro, che ha dato il colpo di grazia al moribondo, leggi Monti, è stato il passaggio dai 3,5 ai 2,4 miliardi di oggi. Questa è la vera, grande responsabilità della politica. Adesso devono aiutarci a tornare almeno ai 3,5 miliardi, soglia che consentirebbe alle aziende di investire. In fondo non chiediamo la rottamazione come per le auto».
Ma non è solo la produzione. Ancora più in crisi è il turismo nautico.
«Dito nella piaga. Allora, partiamo dagli hotel che fatturano con Iva all'11%. Perché il posto barca è gravato del 22%? La nautica deve diventare un concetto di turismo per attrarre gli stranieri, che oggi vanno in Costa Azzurra, a Palma de Majorca o in Montenegro. Devo ricordare che ogni posto di lavoro nell'industria nautica, in tutto l'indotto si moltiplica per quattro. Mi spiego: se io assumo 1.000 persone per fare barche, nell'indotto ne entrano automaticamente 4-5mila. Ma se lei apre il sito del ministero del Turismo non trova una-parola-una sulla nautica. Mi chiedo se sia normale».
Torniamo alla produzione, con le quote del mercato interno ormai molto vicine allo zero.
«Nel 2008 i 6,2 miliardi erano così ripartiti: 3 miliardi di export e 3,2 rimanevano nel mercato interno. Significa che il 50% rimaneva in Italia. Dei 2,4 miliardi del 2013, in Italia rimane appena il 5% mentre il 95% va all'estero. Questo dettaglio basta e avanza per uccidere qualsiasi industria».
Poca cultura nautica e ricchi sempre nel mirino. È così?
«È così. La gente che legge i giornali quando scrivono di nautica collega automaticamente il nostro settore a ricchi ed evasori. Non è così. Ci sono l'operaio che costruisce la barca, il marinaio che sta nel porto, l'uomo alla pompa di gasolio, il ristoratore e altri ancora. Ripeto: alla politica non chiediamo soldi, ma solo l'impegno a fare due o tre leggi che ci diano l'impulso per ripartire. Non dimentichiamo che le grandi aziende si sono salvate solo grazie all'export».
Due-tre leggi, uno scossone e un punto fermo: il salone a Genova.
«Certo. Per uscire dalla palude. È tempo di andare all'attacco, ma per fare questo Ucina ha bisogno di essere unita, forte, autorevole. Non vorrei più leggere sui giornali dichiarazioni del tipo «andiamo a fare il salone a Viareggio» o altrove. In questo modo ai politici arriva un messaggio di debolezza. Per prima cosa ai soci Ucina chiederò unità d'intenti. Sarà il passaggio forte del mio discorso, come la difesa del Salone di Genova. Sono rimasto affascinato dal Salone del Mobile: tutto il mondo a Milano. Ecco, per la Nautica il mondo deve venire a Genova. Vorrei vedere i nuovi prodotti dei nostri cantieri a Genova, non a Cannes. Siamo stati noi a creare il mito Cannes, un mostro che anno dopo anno ci sta uccidendo. Dobbiamo credere nel nostro Paese e, soprattutto, tirare fuori l'orgoglio nazionale».
Un telegramma per Albertoni?
«Gli devo un grazie con tutti gli onori. Ha fatto molto bene in tempi difficilissimi. Ha saputo condurre la barca in porto in piena tempesta. Non è poco e di sicuro non è stato facile».
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