Dylan Dog siamo noi Perché affronta l’orrore della vita quotidiana

Sergio Bonelli sarà ricordato soprattutto come editore. Se il padre Gian Luigi Bonelli (1908-2001) aveva creato le fortune di famiglia con Tex, Sergio ha intuito, con grande anticipo rispetto alla più recente esplosione americana, che stava tornando di moda l’horror: mostri, lupi mannari, vampiri.
Già nel 1972 quando - alle dipendenze del padre - lavora come sceneggiatore, con lo pseudonimo di Guido Nolitta, nella storia Zagor contro il vampiro, Sergio crea il barone Rakosi, che poi torna in diversi cicli delle storie di Zagor, un classico vampiro alla Dracula. E tuttavia c’è già qualcosa di nuovo. Rakosi è transilvano, ma Bonelli lo sposta in un contesto diverso da quello classico. Non si muove tra castelli gotici europei ma nel West di Zagor. L’horror, trasposto in ambienti diversi da quelli cui abitualmente lo colleghiamo, ci stupisce e ci spaventa di più.
Questa è una grande intuizione, che ispira tutto il rapporto di Bonelli con il genere horror fino alla fiducia che, come editore, concede nel 2000 a Mauro Boselli e Maurizio Colombo lanciando il personaggio e l’albo Dampyr, che si avvia a diventare il più longevo fumetto di vampiri del mondo. Anche qui la formula è quella di far comparire i vampiri in contesti molto diversi da quelli classici: i Balcani delle pulizie etniche, la Las Vegas delle guerre di mafia, l’Africa postcoloniale e anche l’Italia nascosta della criminalità organizzata e delle tradizioni popolari.
La formula raggiunge una sorta di perfezione con Dylan Dog, creato per la Bonelli da Tiziano Sclavi, che era arrivato nella casa editrice di famiglia proprio per sostituire Sergio come sceneggiatore di Zagor. Bonelli trasforma Dylan Dog nel personaggio chiave della casa editrice, arrivando oltre il mezzo milione di copie mensili. Anche l’eroe di Sclavi riprende l’intuizione delle prime serie horror con Zagor: portare gli incubi classici delle storie dell’orrore in contesti diversi da quelli consueti. Il genere non perde le sue caratteristiche originarie, ma è ampiamente rivisitato, e un esempio eloquente è proprio quello del vampiro. Tra le tante storie di Dylan Dog dove compaiono vampiri quella che personalmente preferisco è I vampiri, del 1991. Nell’Inghilterra contemporanea si aggirano moltissimi vampiri, solo che normalmente non riusciamo a vederli. Un gruppo di rivoluzionari crea un siero che consente di scorgere i non morti e di capire che dominano il governo e la polizia inglese. Ma i rivoluzionari finiscono per essere arrestati con l’accusa di spacciare droga.


La conclusione di Dylan Dog è pessimistica: con i vampiri - qui metafora delle lobby e dei poteri forti che normalmente non riusciamo a vedere - bisogna convivere, perché ogni tentativo di organizzare una resistenza all’insegna della libertà è stroncato dalla società circostante, che tutto sommato non vuole veramente cambiare. L’horror, così, non invade la vita quotidiana ma diventa anche politica. Un tributo all’intuizione originaria di Sergio Bonelli.

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