Nel dibattito della Camera dei Comuni del maggio 1863, gran parte dei parlamentari presenti in aula arrivarono alla conclusione che il Regno Unito appoggiando lunificazione italiana aveva commesso un gigantesco errore politico, acquistando un malcerto alleato e perdendo, allo stesso tempo, un importante partner commerciale. I dati forniti dal Consiglio del Commercio estero annunciavano un secco decremento dellimportazioni e delle esportazioni tra Inghilterra e Mezzogiorno che si erano praticamente dimezzate dal 1861 al 1862, a causa della rarefazione dei capitali circolanti taglieggiati dallincremento della pressione fiscale e dalla repentina flessione della produzione agricola e industriale.
Prima ancora di essere introdotta nella Penisola lespressione «questione meridionale» assumeva un preciso diritto di cittadinanza fuori dai nostri confini, per indicare lesistenza di due Italie: la prima proiettata a raggiungere i livelli di crescita dellEuropa industrializzata, la seconda destinata a permanere in una situazione di sottosviluppo. A distanza di 150 anni questi temi ritornano nel saggio di Vittorio Daniele e Paolo Malanima Il divario Nord-Sud nella storia dItalia, 1861-2011 (Rubettino). Per i due autori i divari regionali del nostro Paese, assai contenuti fino al 1861, si allargarono drammaticamente nel corso del quarantennio successivo. Fino a quel momento in alcune regioni dellItalia nord-occidentale, come Liguria e Lombardia, il prodotto interno era significativamente superiore alla media nazionale, ma anche nel Mezzogiorno esistevano aree di prosperità. In Campania era di poco inferiore a quello lombardo, mentre in Puglia e Sicilia era analogo alla media nazionale. Una situazione di arretratezza caratterizzava certamente alcune regioni del Sud (Abruzzi, Calabria, Basilicata) ma non era superiore a quella del Veneto. La gerarchia regionale del prodotto pro capite non evidenziava ancora, dunque, la spaccatura Nord-Sud che avrebbe contraddistinto i decenni successivi. Se nel Settentrione la Lombardia deteneva un livello dindustrializzazione nettamente superiore al resto del Paese, al Sud, quello del vasto hinterland napoletano era analogo alla media nazionale. Solo allalba del nuovo secolo, il decollo produttivo innescò cambiamenti radicali. Lintegrazione commerciale in un unico mercato nazionale e la competizione estera causarono la chiusura di molte imprese meridionali escluse da quel processo di crescita di cui approfittarono le regioni nord-occidentali meglio collegate geograficamente alla prima «comunità economica europea» che comprendeva Francia, Belgio, Germania.
Il divario Nord-Sud nacque, dunque, sullonda lunga del processo di «globalizzazione» che interessò tutto il Vecchio Continente, e non certo, come spesso ancora oggi si continua a sostenere, solo in virtù di un processo di sfruttamento promosso dal capitalismo industriale e finanziario nordista che, servendosi delle tariffe proibizionistiche del 1897, tagliò fuori il Mezzogiorno dai circuiti commerciali esteri. Non è possibile negare, però, che lunificazione economica italiana, se meglio guidata politicamente, avrebbe potuto non provocare quello squilibrio strutturale che, come sostenne Nitti nel 1900, comportò «un grandissimo esodo di ricchezza dal Sud al Nord».
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