Alessia Marani
da Roma
Tra i mille e i tremila euro ai militanti meno abbienti, fino a seimila a chi svolge unattività più redditizia. Il terrorismo «a sottoscrizione» dei Mujaheddin e-Khalq (Mek), i «Guerriglieri santi del popolo iraniano» che aiutarono layatollah Khomeini a salire al potere ma che poi ne rimasero fuori, batte cassa anche in Italia. Lo fa per conto di pericolosi «ambasciatori» arrivati dalla Francia e inviati per perorare la causa degli sciiti che professano la sacra unione tra marxismo-leninismo e islamismo, nei centri di cultura e preghiera araba a Roma e in abitazioni private di Torino e Milano. Un viaggio della «speranza» avvenuto agli inizi di agosto che pare contrastare (sebbene già nel 2004 Digos e Ros misero sottosopra decine di covi freddi «sospetti», soprattutto nella capitale) con quanto appena affermato dal Cesis, il Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza, nella relazione presentata al Consiglio dei ministri sul primo semestre 2006. E secondo cui «non ha dato specifici rilievi lazione della dissidenza iraniana. Nel nostro Paese - si legge - i Mujaheddin e-Khalq starebbero attraversando, per il Sisde, una fase di riorganizzazione e incontrerebbero difficoltà nel coinvolgimento dei connazionali in iniziative di protesta». Unanalisi approfondita che però cozzerebbe con la calorosa accoglienza ricevuta dagli emissari del socialismo in nome di Allah nelle tre recentissime tappe lungo lo Stivale. A Torino, lintera rete dei simpatizzanti piemontesi - prima di versare lobolo alla causa - avrebbe ascoltato con ardente passione le parole di protesta scritte da Sarvnaz Chitsaz, presidente del Comitato delle donne del Consiglio nazionale di resistenza in Iran, e indirizzate allOnu contro il presidente iracheno, reo di avere sollecitato lespulsione dal proprio territorio dei Mek e la chiusura della base di Ashraf, al confine con la Repubblica islamica. Missiva mostrata anche nelle soste milanese e capitolina. Non solo. Esisterebbe un conto corrente bancario, italiano, dove far confluire le «offerte» che arrivano cospicue da singoli cittadini, da anonime società nonché da una insospettabile organizzazione non governativa. Un panorama affatto nuovo per lintelligence dOltralpe. In Svizzera da anni i Mek raccolgono denaro in maniera che lantiterrorismo definisce «insistente e aggressiva». Somme apparentemente destinate agli orfani e ai parenti delle vittime del regime iraniano, raccolte per conto di società e associazioni che cambiano spesso nome, ma che in realtà servirebbero a finanziare il braccio armato dellorganizzazione, il Nla, lesercito di liberazione nazionale. Tantè che nessuno degli enti in questione comparirebbe nei registri dellUfficio centrale elvetico per le opere di beneficenza. Al fianco dei filosovietici del partito di Tudeh, i guerrieri santi di Massoud Rajavi che contribuirono nel 1979 alla restaurazione khomeinista. Dopo pesanti sconfitte alle elezioni, però, lo spietato Rajavi passò alla lotta armata. La frattura si consumò nell80 quando, dopo linvasione irachena, i Mek si schierarono con Saddam. Da allora i campi mujaheddin sono ospitati al confine. Alcuni tra gli strateghi militari hanno suggerito di tornare. Nel 2004 lintelligence Usa propose di chiudere un occhio sul riarmo del gruppo Mek - considerato unorganizzazione terroristica dal Dipartimento di Stato - per utilizzarlo in chiave di destabilizzazione contro il governo di Teheran.
Sui seguaci del Mek e sul loro consistente flusso finanziario svolgerebbe unopera di «osservazione» lex Vevak, la temibile polizia segreta dorigine khomeinista che ad oggi sembra vantare basi operative fra Roma, Torino, Napoli e Milano e che le ultime informative dellAntiterrorismo dipingono come una «rete» invisibile capace di piazzare suoi agenti in almeno venti esercizi commerciali. In contatto con questa nebulosa del terrorismo vi sarebbero i soliti noti dellestremismo antimperialista nostrano. Di destra e di sinistra.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it
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