E l’America attende ansiosa il dramma sull’11 settembre

Esce tra un mese nelle sale francesi il film documentario sull’inquilino dell’Eliseo in politica già nel lontano 1962

Silvia Kramar

da New York

A quattro anni dal debutto del festival del cinema di Tribeca, fondato da Robert De Niro in memoria dell’attentato alle Torri gemelle, l’edizione 2006 di una rassegna cinematografica che ha riportato spettatori e turisti nella downtown newyorchese devastata dall’orrore e dalle macerie dell’11 settembre, si è aperta ieri sera con uno dei film più difficili dell’anno, davanti a novantuno familiari delle vittime. A inaugurare il Tribeca, che avrà i suoi cardini nella prima di Mission: Impossible III, il sequel dell’action movie di Tom Cruise, e Poseidon, il remake del classico del ’72 con Kurt Russell e Richard Dreyfus, è stata infatti United 93, la cronistoria delle ultime ora di vita dei passeggeri del quarto volo dirottato dai terroristi islamici. Decollato in ritardo dall’aeroporto newyorchese di Newark e diretto a San Francisco, il volo di linea con a bordo trentatrè passeggeri e sette membri d’equipaggio è precipitato nella campagna della Penssylvania dopo una coraggiosa rivolta dei passeggeri, passati alla storia come gli eroi dell’11 settembre. Intenzionati a sfracellarsi sulla Casa Bianca, i terroristi si erano impossessati della cabina di pilotaggio dopo aver ucciso il capitano, una hostess e un passeggero di prima classe, minacciando gli altri con coltelli e una finta bomba e chiudendosi a chiave nella cabina dei comandi. Decisi a salvarsi, alcuni passeggeri avrebbero cercato di strappare i comandi ai terroristi e al grido di «Let’s roll!» si sarebbero lanciati contro i dirottatori, dopo aver chiamato sui telefoni cellulari i propri cari in un disperato addio.
È proprio da questi brevi stralci delle ultime e disperate telefonate che il regista Paul Greengrass (lo stesso di The Bourne Supremacy e Bloody Sunday) ha creato la sceneggiatura di un film che uscirà oggi nelle sale di tutti gli stati dell’Unione ma che già sta provocando fior di polemiche. Mostrato in anteprima in una sala di San Francisco un mese fa, United 93 era stato accolto dall’urlo infuriato degli spettatori: «È troppo presto!». E anche se lo stesso festival di Tribeca annuncia tra i titoli della sua rassegna altri due film ispirati all’attentato delle Torri gemelle - Saint on 9/11 sul coraggio del cappellano dei pompieri, il reverendo Mychal Judge, perito sotto le macerie e The Heart of Steel, sulle prove d’ardimento dei soccorritori - la pellicola di Greengrass, col suo agghicciante realismo, riapre profonde ferite. Nel girare il suo film, dopo aver intervistato i familiari delle vittime che erano riusciti a parlare al telefono con i loro cari, il regista ha cercato di dividere eroi e gente comune. Ma inevitabilmente c’è chi, come l'ex campione di rugby Mark Bingham, risplende di gloria.
«Sono stati tutti degli eroi, anche quelli che non si sono lanciati all’attacco» ha dichiarato Carole O’Hare la cui madre era a bordo. «Perché fare di alcuni degli eroi e di altri dei passeggeri ombra? Sono tutti morti». Durante le anteprime riservate ai familiari delle vittime, alcuni sono scoppiati a piangere, altri sono usciti, altri ancora hanno protestato. United 93, che comincia con i quattro terroristi che pregano e si scambiano gli ultimi messaggi mentre l’aereo sta per lasciare il terminal, è già stato vietato in un cinema di Manhattan.
«Per molti la tensione è insostenibile, per altri un affronto ad un lutto privato» ha scritto il critico del New York Post. Nell’ultima scena si vedono alcune mani che riescono a spalancare la cabina di pilotaggio. Mani anonime, le ha volute così Greengrass, che ha usato un altro escamotage per rispettare l’identità delle vittime: nel film non viene mai citato un nome,anche se gli attori, tutti semisconosciuti, indossano particolari che li rendono riconoscibili ai familiari, come gli occhialoni ovali di una hostess, il soprannome di «Kimi» mormorato tra le lacrime da un passeggero nell’addio telefonico con la moglie, o l’immagine di un uomo che s’imbarca tenendo sottobraccio un mensile sul parco nazionale di Yosemite. Sono proprio questi particolari ad aver ferito al cuore molti, anche se De Niro difende la sua decisione di aver voluto inaugurare la sua rassegna con questo documento alla memoria: «Se non l’avessi fatto non avrei reso onore alla memoria dell’attentato. È un film difficile, doloroso ma bellissimo».


Si aggiunge alle polemiche anche il divieto di concedere un visto d’ingresso negli States all’attore iracheno Lewis Alsamari e il fatto che sia il sindaco Michael Bloomberg sia il governatore George Patachi si siano rifiutati di partecipare alla serata inaugurale. Ma la polemica salirà oggi, quando United 93 sarà dato in pasto al vasto pubblico dei cinema e non tacerà fino ad agosto, quando Oliver Stone arriverà nelle sale americane col suo World Trade Center.

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