E la moda scopre la prossima tendenza: salvare i negozianti

Dopo anni di diktat su consegne ed esclusive, anticipi e corse nel passaggio degli ordini, stilisti e aziende della moda prendono atto che è giunta l'ora di un radicale cambiamento nei rapporti con i negozianti. Nuova parola d'ordine? Partnership! Perché tutti gli attori della scena vogliono uscire dall'impasse di una crisi che morde caviglie e portafogli. La netta sensazione che si percepisce in questi giorni di saloni e sfilate è che molti compratori italiani siano rimasti a casa.
C'è stato un calo a Firenze per Pitti Uomo dove si è registrata invece un buon incremento nelle presenze straniere con Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti, Cina, Corea del Sud e Turchia in testa. «Sul nostro Paese è inutile raccontarci storie: la situazione è pesante, i consumi sono al minimo e i negozianti fanno un'enorme fatica, spesso sono costretti a rinviare i pagamenti… e qualcuno chiude. Ce ne sono tanti in questa condizione, basta girare per le città. Se a Pitti sono calati di oltre il 10 per cento i motivi reali non mancano di certo. Anzi, in tanti sono venuti lo stesso per ritrovare idee ed entusiasmo» ha dichiarato Raffaello Napoleone amministratore delegato di Pitti Immagine. Medesima atmosfera quella che si respira in questi giorni a Milano.
Che fare? Ecco alcune risposte. «Bisogna imparare a muoversi nella complessità consapevoli che il negoziante ha in sé le risorse per fronteggiare questi tempi incerti, che l'industriale ha le capacità di ritrovare i valori e che soltanto insieme possono andare velocemente verso tempi post-crisi» spiega Roberto Zardon consulente di strategie di marketing e d'immagine di marchi come Siviglia sottolineando l'importanza di calibrare la forza del branding con la validità del prodotto. Del resto un abito deve avere la capacità di identificare l'uomo per come è e si sente e non per come appare. «Mi auguro che questa crisi non porti gli stilisti a trincerarsi dietro il vecchio. I nostri clienti vogliono le novità e la creatività» incalza Federico Giglio titolare delle prestigiose boutique a Palermo mentre riflette sullo stato delle cose: finora le aziende hanno guadagnato molto e per questo hanno dettato legge. «I tempi sono cambiati, oggi i dettaglianti devono essere considerati veri e propri partner» spiega. Si chiede un dialogo più intenso, la revisione dei termini di pagamento e la sostituzione della merce a stagione in corso o a fine stagione. «L'importante è che si possa lavorare e guadagnare tutti, se si continua con la rigidità, qualcuno davvero si fa male» conclude Giglio.
Certo siamo nel pieno di una crisi mondiale che consiglia ai buyer una prudente riduzione dei budget d'acquisto di almeno il 15 per cento. Ma dato che la moda è ancora il nostro petrolio, tutti si augurano che i temuti cali di fatturato siano alla fine di modesta entità. «Dobbiamo andare incontro al mercato e dare una mano a quei negozianti che confermano i volumi d'acquisto dell'anno scorso. In questo caso pratichiamo sconti, sostituiamo gli articoli che non vanno, assicuriamo la qualità a prezzi ragionati» conferma Enzo Fusco, designer/imprenditore delle collezioni Blauer e CPCompany. Inutile dire che questi non sono più tempi di eccessi e di fashion esasperato. «Cerchiamo cose non banali, di sostanza, durevoli. Una moda equilibrata fatta di bei materiali e di ottima confezione» conferma Beppe Angiolini titolare della boutique Sugar di Arezzo e presidente della Camera Nazionale dei Buyer. E aggiunge che per fare acquisti oggi più che il buongusto occorre il buonsenso.

«Ci vuole intelligenza per rendere personale la moda maschile e perciò puntiamo su prodotti selezionati e realizzati da specialisti» aggiunge ipotizzando che per il prossimo inverno saranno un po' meno gettonati i jeans, le sneaker e altre tipologie che hanno riempito i nostri guardaroba. Se razionalizzazione dev'essere, si cominci pure dal superfluo.

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