Politica

E ora un referendum

L’ingresso della Turchia nell'Unione europea costituisce un problema e un pericolo enorme, di cui i responsabili dell'Ue tengono all'oscuro i cittadini. Adesso problemi e pericoli vengono mascherati con contenziosi internazionali come la questione di Cipro e il riconoscimento del genocidio degli armeni, che la Turchia, dopo averlo compiuto, non vuole ammettere. Il problema vero comunque è: chi ci portiamo in casa? E qui, tanto per annebbiare le idee e allungare le mani, si risponde che la Turchia non potrebbe entrare prima di dieci anni, come fosse un periodo lunghissimo. Lo è, forse, per quest'Unione che corre a rottadicollo verso l'assorbimento e l'«integrazione» di tutto e tutti. Ormai è prevalsa la sciagurata ipotesi di allargarla prima di renderla più salda, e ora tocca ai Paesi-aspiranti-membri produttori soprattutto di emigrati, come quelli dell'Est, dell'ex Jugoslavia, la Turchia. Così si eliminerà il problema degli extracomunitari semplicemente rendendo «comunitari» buona parte degli odierni extracomunitari.
Dieci anni sono molti nella vita di un individuo, ma niente nella vita di un popolo. Dittatori con tutti i poteri - Hitler, Mussolini, Stalin - non sono riusciti a cambiare i rispettivi popoli in 10, 20, 30 anni, così come la grande rivoluzione laica e occidentalista di Ataturk non è riuscita - in molto più tempo - a cambiare alla radice il suo popolo, che è e resta mussulmano. Episodi come quelli delle cinque ragazze lasciate affogare perché non si possono toccare le donne, non sono eccezioni: sono la punta estrema di un atteggiamento verso la vita di individui troppo diversi da noi.
Si dice, e si gongola al pensiero, che l'ingresso della Turchia nella Ue sarà un grande business, perché quell'enorme Paese è tutto da rifare o da fare, strade, ferrovie, comunicazioni, infrastrutture. È vero, ma questo gigantesco sforzo dovrà essere sostenuto dai cittadini dell'Unione, per finanziare un'industria, un'agricoltura, una scuola, un'economia arretrate. Senza contare altri aspetti: con i suoi 70 milioni di abitanti (in crescita costante e velocissima) la Turchia avrà da subito più rappresentanti parlamentari dell'Italia, per esempio. E che si prevede il rapido diffondersi in tutta l'Ue di oltre venti milioni di turchi, per la stragrande maggioranza non qualificati ma tutti alla ricerca di lavoro e sopravvivenza. In che modo? Con quali risultati per l'economia e la vita sociale dei Paesi già membri?
Ci si porta in casa, inoltre, un Paese con un terrorismo interno vivo e attivo, che deve affrontare una guerra civile più o meno sanguinosa (ma sempre tenuta a bada tramite il terrore) con i curdi; e che - sempre per la questione curda - è a rischio conflitto con l'Irak: come la vediamo un'Unione europea contro l'Irak per il Kurdistan?
Infine, l'ingresso della Turchia sarebbe davvero - come si dice - un segno di avvicinamento e di controllo sul mondo mussulmano o rappresenterebbe una sua vittoria, visto che quel mondo ha sempre desiderato essere l'Europa, in qualsiasi modo e a qualsiasi costo?
Se non si vuole chiamare quello in atto fra Islam e Occidente uno scontro di civiltà, lo si chiami pure confronto di civiltà, ma è un confronto che si vince soltanto mantenendo intatte le nostre radici, che sono cristiane e hanno faticosamente prodotto un cristianesimo laico, da difendere contro ogni intromissione, tanto più se forzata dall'alto.

E per questo, visto che ai cittadini italiani non è mai stato possibile esprimersi direttamente sull'Unione europea, si cominci a organizzarsi - di qui al 2015 - perché almeno l'ingresso della Turchia sia sottoposto in Italia al referendum popolare.

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