E Pechino teme che gli si rompano i Giochi

E Pechino teme che gli si rompano i Giochi

Nel condannare la repressione poliziesca delle dimostrazioni anticinesi di Lhasa, sia gli Stati Uniti, sia l'Unione europea hanno negato di voler disertare le Olimpiadi, ma non lo hanno neppure categoricamente escluso. Il portavoce del Dipartimento di Stato ha detto che Washington considera i Giochi un evento sportivo, ma che si attende un maggior rispetto dei diritti umani prima, durante e dopo il loro svolgimento. Il ministro degli Esteri francese Kouchner, a sua volta, ha dichiarato che «la Francianon è favorevole aun boicottaggio, ma non mancherà di attirare l'attenzione sulla concomitanza tra i Giochi e questa aspirazione tibetana, di cui la Cina deve tenere conto».

Nel linguaggio diplomatico, questo significa che, se i più violenti scontri degli ultimi vent'anni dovessero degenerare in una carneficina, le Olimpiadi di Pechino potrebbero anche fare la fine di quelle di Mosca 1980, disertate dalla maggioranza dei Paesi occidentali per protesta contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan. Sarebbe una decisione gravissima, che potrebbe provocare da parte cinese reazioni molto forti, sia sul piano politico sia su quello economico e che tutti cercheranno di evitare; ma se Pechino, che negli ultimi due anni ha aumentatola pressione sulla popolazione tibetana e gli attacchi al Dalai Lam aignorasse gli appelli alla moderazione, la pressione dell'opinione pubblica non sportiva per un «gran rifiuto » potrebbe diventare insostenibile.

Già prima della rivolta di Lhasa, molti devono essersi domandati se assegnare i Giochi 2008 alla Cina non sia stato unerrore. Pur togliendo, come gesto di buona volontà, la Cina dalla lista dei Paesi colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani, il Dipartimento di Stato aveva denunciato la scorsa settimana gli abusi contro la libertà religiosa nel Tibet e una crescente persecuzione dei dissidenti. Le dimissioni di Steven Spielberg al suo incarico di regista hanno attirato una volta di più l'attenzione sulla cinica politica cinese in Darfur.

La rinuncia del grande campione etiope Gebrselassie a correre la maratona a causa dell'inquinamento atmosferico di Pechino ha sottolineato i rischi che gli atleti correranno a partire dal prossimo 8 agosto. Notizie di un’improvvisa ondata inflazionistica, che ha messo in difficoltà centinaia di milioni di persone, hanno alimentato il timore che disordini di piazza possano interferire con i Giochi, con relativo pericolo diunanuova Tienanmen. Infine, la notizia che una cellula di separatisti musulmani del Sinkiang legata ad Al Qaida stava preparando attentati contro le Olimpiadi ha creato allarme anche per la sicurezza, anche se molti l'hanno interpretata come un modo per dire all'Occidente: «Non fate i difficili,siamo nella stessa barca».

Nel governo cinese, intanto, cresce l'inquietudine che, al di là delle intenzioni dei governi, le organizzazioni umanitarie vogliano usare i Giochi per fomentare la protesta. Il Quotidiano del Popolohaaddirittura accusato l'Occidente di sfruttare l'occasione per destabilizzare il regime. Ma Pechino si trova davanti a un dilemma: se,come si era impegnata a fare, dovesse allentare la presa e concedere più spazio al dissensounasituazione interna forse ancora più difficile di quanto sembri potrebbe sfuggirle di mano.

Se, al contrario, ricorresse al pugno di ferro comprometterebbe gli enormi investimenti - materiali e politici - fatti nei Giochi e vedrebbe svanire l'obiettivo di un ingresso a pieno titolo nel club dei grandi. Già oggi, quando presumibilmente monaci e abitanti di Lhasa torneranno in piazza, capiremo quali sono le sue intenzioni.

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