E il portiere d’hotel lascia 10 milioni all’Arma

da Roma

Non è l’otto, nè il cinque per mille. Concettualmente, è molto di più. E anche se è fatto divieto di vincolare un tot per cento della propria imposta Irpef a sostegno di una forza di polizia, fra eredità e donazioni elargite da privati cittadini, i carabinieri rientrano un po’ di ciò che il governo toglie loro ad ogni Finanziaria: soldi e immobili. La corsa a ringraziare economicamente l’Arma e a rimpinguare il «Fondo assistenza previdenza e premi» per il personale con giberna e bandoliera, sta contagiando sempre più persone. L’elenco è lungo, ed anche top secret. Chi premia la Benemerita trapassando a miglior vita, ad esempio, non sempre gradisce prime pagine e pubblicità postume, anche per non infierire oltremodo sui parenti rimasti fregati all’apertura delle buste. Ad oggi il bilancio di questo fondo «che svolge attività di utilità sociale» per ufficiali, sottufficiali e familiari di militari che hanno perso il papà, il marito o il fratello «in attività di istituto» è assolutamente in attivo: c’è chi lascia castelli, ville, palazzine, appartamenti, quadri, gioielli. C’è chi addirittura contribuisce con oblazioni mensili, quasi sentisse il bisogno di pagare un balzello in più per giusta causa.
A quanto ammonti, ad oggi, il patrimonio del fondo è difficile a dirsi. Un dato su tutti fa riflettere: solo le sottoscrizioni dei singoli cittadini inviate al Comando Generale all’indomani della strage di Nassyria raggiungono l’iperbolica cifra di 2milioni e 265mila euro. Un capitolo a parte meritano le eredità. Sfogliando i carteggi dell’Arma, tra i benefattori più recenti spicca Michele Salvia, portiere-centralinista del prestigioso «Grand Hotel Quisisana» di Capri. Quando ai primi d’aprile s’è saputo il contenuto del testamento del 78enne Michele, si pensava a un «pesce», a uno scherzo: dieci milioni di euro - tra quattro appartamenti vicino alla nota «piazzetta», conti in banca, titoli per 300mila euro, pezzi di terra - da destinare interamente alla stazione dei carabinieri dell’isola retta dal maresciallo Michele Sansonne. Nemmeno uno spicciolo per i nipoti. Precedentemente un ingenere romano, Edoardo Fornari, ammiratore vero di Salvo D’Acquisto e una passione sfrenata per i tutori dell’ordine, aveva lasciato all’Arma oltre due milioni di euro in immobili (appartamenti nella centralissima via del Governo Vecchio a Roma) e nemmeno un soldo alla facoltosa sorella che a sua volta aveva lasciato nella casse del comando di viale Romania la sua fetta, miliardaria, di eredità. La bolognese Anna Bolelli, vedova del «re dei carburatori» Edoardo Weber, volle ringraziare personalmente i carabinieri che l’avevano aiutata a cercare il marito, prelevato dai partigiani per un interrogatorio e mai tornato a casa. Donò tutto: un miliardo e settecento milioni di lire più negozi e appartamenti. E che dire di Silvia Ferrari, figlia del professor Virgilio Ferrari, sindaco di Milano dal 1951 al 1961: tre milioni cash alla Fondazione per gli orfani delle famiglie dei carabinieri morti in servizio.
Nomi noti e meno noti. Come quelli che a Gubbio stanno dietro alla famiglia Ceccarelli che nel paese della fiction dei carabinieri con Don Matteo ha «regalato» all’Arma il rinascimentale Palazzo Benni. Stesso dicasi per l’«eredità·Smerigli» (quattro appartamenti e un locale commerciale nel centro di Bologna) e per l’«eredità Marcolin» in quel di Padova (una palazzina e tre locali nella piazza del monumento equestre al Gattamelata di Donatello, dirimpetto la basilica di Sant’Antonio). Di casi così, di gente qualsiasi che al dunque preferisce premiare la famiglia dell’Arma anziché la propria, se ne contano a centinaia. L’altra metà del «fatturato», però, la Fondazione lo incrementa grazie agli assegni staccati da enti e istituti.

Ogni obolo va a supportare le borse di studio pensate in favore dei figli dei militari dell’Arma e soprattutto di chi un padre, caduto in servizio, non ce l’ha più. Sulla carta i carabinieri, come la polizia e la guardia di Finanza, battono cassa al governo che anziché premiare i servitori dello Stato, «taglia» loro i fondi. Per fortuna nostra c’è qualcuno che «ricuce».

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