E Prodi rievoca i fantasmi rossi

Arturo Gismondi

Romano Prodi ha così risolto, per ora, il problema della sua leadership: «Non ho il potere, non ho un partito mio, ho però un'autorità da far valere» . È uno di quei discorsi che Fassino e D'Alema non vorrebbero mai ascoltare. I Ds hanno, fra le radici delle quali non hanno alcuna voglia di sbarazzarsi, l'idea che sarà un po' didattica ma alla quale sono affezionati, del partito come guida, come orientamento del popolo. Il principio esposto da Prodi è esattamente il contrario, il candidato premier dell'Unione scavalca i partiti che dovranno sostenerlo, e quello che si è impegnato a farlo votare alle «primarie» di ottobre. Si capisce la domanda rivolta da Emanuele Macaluso ai Ds dopo la nota intemerata parisiana sulla «questione morale», che riguarda loro, come gli altri: «Ma perché voi diessini dovreste votare per Prodi?».
Il dalemiano Caldarola aggiunse una riflessione angosciata: «Diventa sempre più difficile, alle primarie, sostenere Romano Prodi».
Fassino e D'Alema e con loro Caldarola e Macaluso non possono naturalmente abbandonare Prodi nel mezzo del cammino, e però sarà dura, perché le accuse di Arturo Parisi non sono da poco: il braccio destro di Prodi ha collocato nell'ambito della «questione morale» l'elezione di Petruccioli alla presidenza della Rai, un «baratto» pagato con la cessione a Mediaset dei diritti sul calcio, niente di meno, e ha chiamato in causa la scalata di Unipol alla Bnl come prova di una disdicevole «connessione fra politica ed economia». Sono argomenti maligni, per i Ds. Il partito di Occhetto fu allora nei primi anni '90 il beneficiario della «questione morale», dalla quale ha tratto legittimità, nonostante il crollo del comunismo, per l'ingresso nell'area di potere e di governo. Un partito siffatto non può essere additato, a sua volta, come soggetto di una nuova «questione morale» che si fa forte, oltre a tutto, di un rinnovato «concerto mediatico-giudiziario» messo in moto, ai giorni nostri, sul tema della spartizione del potere economico.
Dopo alcuni giorni di attesa, passati nella speranza che Prodi sconfessasse il suo principale sostenitore, Fassino si è deciso a parlare, ma lo ha fatto proponendo alcune verità di fede: i Ds sulla «questione morale» sono gli eredi di Berlinguer, non sono un partito come gli altri, la scalata di Unipol alla Bnl non è confrontabile con quella dell'Antonveneta, le Coop sono parte della storia della sinistra. Ma la riproposizione della «questione morale» alla connessione fra politica e affari, il ricordo dell'appoggio di D'Alema ai tempi di Palazzo Chigi ai «capitani coraggiosi», regolarmente rinfacciato anche da una parte della sinistra ai Ds, le privatizzazioni risoltesi in un regalo ad alcuni gruppi che hanno continuato a gestirli sostituendosi al vecchio padrone statale senza alcun vantaggio per i cittadini, non sono argomenti dei quali è facile sbarazzarsi. Petruccioli, chiamato in causa da Parisi, ha mostrato di avere le idee chiare allorché ha affermato che le accuse che lo colpiscono di avere cercato un accordo diretto con Berlusconi non riguardano la sua persona quanto il partito dei Ds, che deve preoccuparsi per il tentativo di ridar vita a un «moralismo rancido», e a girotondi che lo sono ancora di più nella loro demagogia.
In effetti Fassino non può cavarsela distinguendo il suo partito dagli altri, l'Unipol di Consorte dai finanziari d'assalto, e ignorando che fra l'uno e gli altri ci sono stati e ci sono legami evidenti. Anche perché le accuse di Parisi e le prediche più oscure di Prodi riprendono temi agitati prima di loro da Rutelli, il quale ha accusato i Ds oltreché per Unipol anche per la linea morbida nei confronti di Fazio. La linea comune Prodi-Rutelli può stupire, ma è un fatto concreto. Gli obiettivi dell'offensiva comune sono due: accreditarsi presso i «poteri forti» come i difensori di un establishment che si sente minacciato da un capitalismo nuovo e rampante; e, al tempo stesso, eccitare un giustizialismo che l'apparato mediatico-giudiziario ha messo in moto di nuovo in forme aggressive e pericolose. Fassino deve stare in guardia perché si tratta di vecchi fantasmi accreditati a lungo dal suo partito, e che rischiano di rivoltarglisi contro.
Il sintomo di quanto si va accumulando nel ventre profondo della sinistra è rivelato dalla autentica rivolta esplosa alla notizia del noto accordo d'affari fra De Benedetti e Berlusconi. L'entità e la qualità dell'impresa non interessa gran che. Interessa che la notizia ha provocato una mobilitazione di ambienti che, in preda a una sorta di ossessione fobica, al solo sentir nominare insieme il diavolo e l'acqua santa, ha costretto il De Benedetti a fare rapidissima marcia indietro. Anche qui, i fantasmi evocati dal De Benedetti editore hanno sorpreso il personaggio che pure non è nato ieri. Ma l'opinione dei Silos Labini, dei Sartori, dei Travaglio, delle Bonsanti e dei lettori inviperiti che hanno scritto a Repubblica costituiscono un'area culturale e politica che pesa sulla sinistra, e come.
a.

gismondi@tin.it

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