Una delle (auto)citazioni che preferisce è quella che dice: «Quando cè da cacciare gli artigli, come noto io non mi sottraggo». Massimo DAlema il rapace è abituato a vincere. Sè mangiato le carcasse di tutti i leader del centrosinistra degli ultimi quindici anni, per dire, in principio fu Romano Prodi poi sono venuti tutti gli altri, da Walter Veltroni a Dario Franceschini. Dacché Pd era Ds e prima ancora Pds, lui fa e lui disfa. Solo che da qualche tempo laquila più vola alto e più cade male. Il tallone di Massimo è il tacco: la Puglia, casa sua.
Quando con fiuto da vero segugio profetizzò «scosse» ai danni del premier Silvio Berlusconi, il terremoto arrivò a Bari, facendo traballare la giunta regionale di centrosinistra nelle persone dei «suoi», dal fedelissimo Sandro Frisullo, lex vicepresidente della Regione, allex assessore oggi senatore Alberto Tedesco, rimasti imbrigliati nellinchiesta sul «sistema Tarantini» a metà fra escort, droga e appalti truccati. Adesso che ci sono le Regionali alle porte, sotto agli artigli del líder Maximo si sente uno stridore di arrampicata sugli specchi. Perché pur di non perdere la sua partita da solo, ha innescato unoperazione kamikaze per tutti, dando il via a una candidatura, quella di Francesco Boccia, con la quale il centrosinistra rischia di perdere le elezioni nonostante il sostegno dellUdc. La mossa gli era parsa semplice, quasi scolastica: faccio ritirare dalla competizione il governatore uscente Nichi Vendola e al suo posto ci metto il sindaco di Bari Michele Emiliano. Ma ha peccato di presunzione, o forse, semplicemente, non sè accorto che le pedine del centrosinistra si sono stancate del manovratore. Perché Vendola non solo non sè ritirato, ma ha messo su una crociata contro «lOpa dei centristi sui Democratici», come ha detto al Corriere della Sera, che rischia di fargli guadagnare i voti di mezzo Pd. E perché Emiliano non solo è rimasto fuori dalla partita, ma ha fatto pure una pessima figura: per correre alle Regionali ha chiesto una leggina ad personam per non doversi dimettere da sindaco. Solo che la norma ad Emilianum ha fatto scoppiare un putiferio a destra e soprattutto a manca, costringendo il segretario Pier Luigi Bersani a innescare la retromarcia per tutti. Il terzo fra i due litiganti, poi, è il male peggio della soluzione.
Francesco Boccia forse in altri tempi sarebbe stato il candidato perfetto, per esempio ai tempi in cui Vendola lo scavalcò alle primarie «grazie a brogli», come denuncia da allora. Adesso invece è il simbolo di una doppia sconfitta: quella di DAlema, che ha fallito il suo obiettivo, e quella che il Pd sappresta a subire alle elezioni, visto che sì, ha recuperato i voti dellUdc, ma al costo di spaccare il Pd e di far salire sulle barricate Sinistra Ecologia e Libertà, che ieri, con Gennaro Migliore, ha interrotto i tavoli di trattativa per la definizione delle alleanze e confermato la corsa contro tutti di Vendola.
Cè poi che Boccia sarà pure un componente della corrente che fa capo a Enrico Letta, e in quanto tale non inviso a DAlema. Ma resta un cattolico di provenienza Margherita. Soprattutto, è uno che non le manda a dire: nato a Bisceglie, laureato alla Bocconi, specializzatosi fra Londra e gli Stati Uniti, leconomista del Pd è un misto di supponenza anglosassone e cocciutaggine meridionale. Lanno scorso, per dire, intervistato da Repubblica, non si rasò i peli sulla lingua per dire che «al governo non abbiamo mai fatto nulla contro il conflitto di interessi e tutti lhanno interpretato come un accordo sottobanco dei leader con Berlusconi», laddove «i leader» pareva un pluralis maiestatis per il líder degli inciuci.
Ma il meglio lo diede proprio a cavallo delle «scosse» dalemiane. Quando iniziarono ad aprirsi i crateri sotto la poltrona di Tedesco, il Pd mise lassessore indagato al riparo dellimmunità parlamentare, facendolo entrare in Senato al posto di Paolo De Castro, il presidente, guarda un po, della fondazione dalemiana Red, per la bisogna spedito al Parlamento europeo. DAlema liquidò chi chiedeva le dimissioni di Tedesco almeno dal Pd con le solite spallucce: «È stato candidato in unepoca in cui non cera alcuna inchiesta», ma il putiferio non si placò per mesi. E a svelare il giochino era stato proprio lui, Boccia.
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