Ecco gli affari sporchi delle tribù di Lagos

Non si occupano solo di raccogliere pomodori, gli africani sbarcati nella pianura campana. Ormai da quasi due anni i rapporti della Dia - Direzione investigativa antimafia - hanno individuato come in mezzo all’esercito di dannati della terra che fornisce mano d’opera a buon mercato all’agricoltura campana, stiano impiantandosi tra l’hinterland napoletano e il casertano forme di criminalità organizzata (nigeriana, soprattutto) che si reggono su due pilastri fondamentali: una solida struttura organizzativa che viene direttamente dai clan delle megalopopoli nigeriane, e il rapporto di convivenza con le famiglie della camorra locali.
Il massacro di giovedì sera dice che questo rapporto, come inevitabile, attraversa una fase «difficile». Molto solidi, e sostanzialmente intonsi, restano invece i canali organizzativi importati dall’Africa. È uno schema inedito, per il panorama criminale italiano: una struttura non piramidale, dove una violenza estrema si incrocia ad alleanze tribali, a riti para-stregoneschi e a tentazioni messianiche. Tradotto in concreto, significa mani su quattro business: la droga, la prostituzione, l’azzardo telematico e il traffico di denaro. «Nell’hinterland napoletano ed in quello casertano permangono i centri nevralgici delle ramificazioni nazionali di queste organizzazioni», scriveva la Dia al Viminale a metà dello scorso anno.
I nigeriani - e i loro alleati liberiani - hanno gestito a lungo un mercato della cocaina a cielo aperto tra Grazzanise, Castelvolturno e Villa Literno. A Giugliano, nel cuore dei territori camorristi, il boss nigeriano Iyare Jubilee aveva impiantato addirittura una sua raffineria personale. E a Giugliano, già nel marzo 2006, era suonato un vistoso campanello d’allarme: un nigeriano considerato (anche dai suoi connazionali) troppo vicino ai clan dei casalesi era stato bruciato vivo alla fine di una sorta di processo sommario.
Sono territori in cui per le forze dell’ordine è ancora più difficile entrare che in quelli camorristi. Non solo per i problemi di lingua. A rendere quasi impenetrabile la corteccia dei clan nigeriani sono tradizioni consolidate che arrivano direttamente dal paese d’origine. Anche in un territorio abituato alla violenza come è l’hinterland napoletano, la carica di brutalità che i clan nigeriani portano con sè è impressionante. I rapporti dei carabinieri puntano il dito contro le organizzazioni che già nei campus universitari africani come quello di Ekpoma dettano legge con la violenza: i «Black Eyes», soprattutto. Ma nell’agro campano sono sbarcati anche i loro rivali, i «Black Axe».

In Nigeria gli studenti costretti a subire il loro potere li chiamano con disprezzo e paura «i cultisti». Sono nati come circoli religiosi ma ora si occupano di droga, di affari, di soldi, ma anche di magia nera, sesso, riti voodoo. Un cocktail esplosivo versato sulla santabarbara dell’hinterland napoletano.

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