Ecco il dossier che smonta la protesta No Tav

Un rapporto di 23 pagine ricostruisce la vera storia dell’Alta velocità: in 2 anni 23 tavoli tecnico-politici e 31 incontri tematici, approvate più di cento modifiche al progetto. I ricorsi dei sindaci? Bocciati dal Tar

Stefano Filippi

nostro inviato a Torino

Il dossier è sul tavolo del governatore Mercedes Bresso: 23 pagine fitte di date, cifre, analisi, ricostruzioni. È la vera storia della Tav, quella che smentisce tante falsità messe in circolazione negli ultimi mesi. Per esempio, che la Val Susa non è stata coinvolta. Che non c’è stata informazione. Che il governo ha tirato dritto fregandosene delle esigenze della popolazione. Che le valutazioni ambientali non sono state compiute. Che i no-Tav sono gli unici ad avere ragione. È un dossier importante, che ieri la ds Bresso ha usato per dimostrare la correttezza dell’operato del governo (di centrodestra) e della Regione (di centrodestra fino alla primavera scorsa).
La comunicazione agli enti locali
Dopo anni di discussioni il progetto dell’alta velocità ferroviaria plana a Torino il 12 aprile 2002, quando in prefettura viene presentato ufficialmente ai sindaci della Val Susa lo studio per la linea Settimo-San Didero. I sindaci chiedono un tavolo di confronto, che viene istituito nell’arco di un mese. Gli incontri cominciano il 15 maggio: nei successivi nove mesi e mezzo il Tavolo si riunisce 23 volte, in media ogni 12 giorni, per esaminare studi di fattibilità, impatto ambientale, bozze di variante. Il 7 marzo 2003 viene formalmente presentato il progetto preliminare per la tratta Bussoleno-Torino, il 10 è la volta della tratta fra Bruzolo e il confine con la Francia.
Ai progetti viene data grande pubblicità. Vengono stampati su Corriere della Sera, Stampa e Sole-24 ore e messi a disposizione del pubblico alla Direzione regionale trasporti (lo sono tuttora) e nell’ufficio di Valutazione impatto ambientale della Regione (Via) per 60 giorni. Una copia su carta viene spedita alla Comunità montana Bassa Val Susa e 50 copie della documentazione completa (ciascuna composta di 11 cd rom) viene recapitata a tutti gli enti locali interessati. La Regione pubblica un estratto dei progetti sul suo sito internet e attiva un numero telefonico e una casella di posta elettronica (progettistrategici@regione.piemonte.it) per raccogliere note, osservazioni, richieste di chiarimenti.
Viste le clamorose proteste di queste settimane, uno si aspetterebbe che telefoni e computer della Regione siano stati presi d’assalto. Invece in due anni e mezzo sono andate a guardare i prospetti depositati all’ufficio Via la miseria di 12 persone, mentre alla Direzione trasporti se ne sono recate appena due. Due in 33 mesi, cui vanno aggiunte dieci telefonate di chiarimenti e due richieste via e-mail. Il nulla.
L'interesse della Val Susa per l’Alta velocità è stato pari a zero nonostante la quantità di riunioni e lo spiegamento di mezzi informativi. In sintesi. Dal 12 aprile 2002 al 12 luglio 2004 si sono svolti 6 incontri della Conferenza dei servizi, 23 tavoli tecnico-politici, 31 incontri tematici. Sono stati esaminati tre progetti preliminari e uno studio del Politecnico di Torino più tutte le varianti locali proposte da Regione, Provincia e vari comuni. Gli amministratori della Val Susa hanno avuto 60 giorni per inviare osservazioni al ministero dell’Ambiente, 133 giorni per le osservazioni alla Regione Piemonte, 215 giorni per esprimere pareri. Sono stati compiuti innumerevoli sopralluoghi in Val Susa e nella pianura a ovest di Torino.
Le modifiche volute dai sindaci
Bisogna dare atto ai primi cittadini della Val Susa di essere stati contrari fin da subito al progetto, e di non averlo mai nascosto. La Regione Piemonte fu travolta dalle richieste di modifiche. Ne approvò 59 per la tratta internazionale e 65 relative alla cosiddetta Cintura ferroviaria nord, cioè il collegamento con il tratto di alta velocità Torino-Milano già in fase avanzata di realizzazione. La Regione si è fatta carico delle «criticità» espresse dai sindaci e ha introdotto una serie di adeguamenti ai progetti esecutivi. Questa fase si è conclusa il 15 ottobre 2003, cioè sette mesi dopo la presentazione dei progetti stessi. Una nota formale riepilogava le osservazioni trasmesse e i rilievi accolti. Il 5 dicembre 2003, giusto due anni fa, il Cipe ha approvato definitivamente la Tav.
I ricorsi alla magistratura
Quando non erano impegnati in riunioni o controlli, i sindaci che ora marciano per protesta indossando la fascia tricolore erano occupati non a informare la gente ma a scrivere ricorsi alla magistratura. Le istanze portano la firma di Antonio Ferrentino, presidente della Comunità montana Bassa Val Susa e portabandiera della rivolta anti-Tav. Il primo ricorso, destinatario il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (competente per le grandi opere sul territorio nazionale) porta la data del 3 dicembre 2003. Bocciato. E benché siano stati respinti, i contenuti dei ricorsi vengono sbandierati ancora oggi come cavalli di battaglia del “movimento”. I legali no-Tav denunciavano l’illegittimità delle delibere del Cipe, l’incostituzionalità della legge obiettivo che sveltisce le procedure delle grandi opere esautorando gli enti locali, la mancata partecipazione dei cittadini, la violazione delle direttive comunitarie in materia di valutazione di impatto ambientale.
Nessuno di questi punti è stato accolto. Il Tar ha rilevato che tutte le osservazioni relative alla salute pubblica sono state acquisite e che sono stati esaminati addirittura quattro tracciati alternativi mentre la cosiddetta «opzione zero», il sogno del popolo no-Tav, è inaccettabile «stanti i dati di sviluppo del traffico merci lungo l’asse del Corridoio 5 richiesto dall’Unione europea». Il 23 settembre 2004 Ferrentino ha proposto appello al Consiglio di Stato che è stato respinto il 15 marzo scorso.
Il traforo di Venaus
I comuni della Val Susa e le comunità montane sono stati coinvolti fin dall’inizio nel progetto del cunicolo esplorativo di Venaus, quello il cui cantiere doveva aprirsi nei giorni scorsi e che invece è stato teatro degli scontri tra autonomi e forze dell’ordine. Ci sono voluti tre mesi per completare la procedura, dal 2 aprile al 30 giugno 2003, quando un decreto della Regione ha sancito l’intesa per realizzare il tunnel e ha richiesto 84 prescrizioni: tutte accolte dal ministero dei Trasporti.
E altre raccomandazioni proposte dai sindaci vengono accolte nel febbraio 2004, quando la società italofrancese Ltf (Lyon Turin Ferroviaire, incaricata di eseguire i lavori) chiede alla Regione di verificare ufficialmente la posizione degli Enti locali contrari al trasporto in teleferica dello smarino, il materiale risultante dagli scavi di Venaus. Scatta una nuova raffica di sopralluoghi e riunioni tra sindaci, comunità montane, Azienda regionale di protezione ambientale, rappresentanti del ministero. I comuni impongono altre modifiche, la Regione le fa proprie modificando le vecchie disposizioni, autorizza il trasporto dei materiali su strada e inserisce 12 ulteriori prescrizioni alle quali la Ltf dovrà attenersi. Il 3 marzo 2004 si svolge un incontro con il ministro Lunardi, che da queste parti è stato ribattezzato «il Talpone».

Il titolare delle Infrastrutture ribadisce che l’opera ha superato il punto di non ritorno e che il ministero sarà presente al tavolo tecnico-politico. I sindaci prendono atto. È passato un anno e mezzo. Ed è scoppiato il finimondo.

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